Previdenza
PENSIONE – LAVORO, CUMULO POSSIBILE
Nel momento in cui si raggiunge l’ambito traguardo della pensione, molti si chiedono se continuare a lavorare, dopo essere andati in quiescenza, comporta dei tagli o meno sull’importo dell’assegno previdenziale che viene erogato. In proposito, giova sottolineare che, nel corso degli anni il cumulo tra pensioni e redditi da lavoro è stato oggetto di numerosi interventi legislativi, in un primo momento ispirati al principio dell’integrale cumulabilità del trattamento di pensione con i redditi prodotti; dopo, invece, diretti a ridurre o eliminare del tutto tale cumulabilità, vedi articolo 72 della legge 388/2000, che prevedeva il cumulo per le pensioni liquidate con almeno 40 anni di contributi.
La norma, puntava a non incoraggiare il ricorso alla pensione di anzianità. Ma un intervento, senza dubbio favorevole per i pensionati, si è avuto con l’articolo 19 del Dl 112/2008, convertito con modificazioni, in legge 133/2008; la normativa è stata totalmente modificata, introducendo l’integrale cumulabilità dal 1° gennaio 2009 delle pensioni di anzianità, a carico di tutte le forme di assicurazione obbligatoria con i proventi economici, siano essi derivanti da un rapporto di lavoro dipendente che da un’attività da lavoro autonomo.
Di conseguenza, tutte le pensioni di anzianità (si ricorda che ora la pensione di anzianità è stata eliminata per essere sostituita dalla denominazione di pensione anticipata) godono dello stesso regime di totale cumulabilità con i redditi da lavoro autonomo e dipendente, al di là del regime pensionistico, sia esso retributivo o misto, al quale appartengano.
Per quanto attiene le prestazioni maturate in base con il sistema contributivo, il cumulo della pensione con i redditi da lavoro è possibile a condizione che risulti soddisfatta almeno una delle seguenti condizioni: siano stati compiuti almeno 60 anni di età se donna o 65 anni se uomo; ci siano almeno 40 anni di contribuzione; ci siano almeno 35 anni di contributi e 61 anni di età.
In pratica, sono dei requisiti che determinano ormai nella maggior parte dei casi la totale cumulabilità dei trattamenti pensionistici con i redditi da lavoro, anche per gli assegni liquidati interamente con il sistema contributivo.
Ma non tutte le pensioni restano escluse dal divieto di cumulo con i redditi da lavoro; infatti, il divieto di cumulo resta in vigore nei confronti dei pubblici dipendenti, nell’ipotesi in cui gli stessi vengano riammessi in servizio presso le pubbliche amministrazioni. Inoltre, continuano ad essere soggetti al divieto di cumulo coloro i quali sono titolari di pensione ai superstiti e degli assegni di invalidità con gli altri redditi; tali divieti sono stati introdotti con la legge 335/1995 (riforma Dini), e sono rimasti in vigore oltre il 31 dicembre 2008. In questo caso, chi è interessato si troverà costretto a rinunciare a una parte della propria pensione o rendita in caso di reddito superiore a determinati livelli. È da evidenziare pure che, nel corso degli ultimi anni, sono state introdotte delle forme pensionistiche, che potremmo definire alternative, che hanno regole abbastanza rigide in merito al cumulo dei trattamenti con i redditi da lavoro, dipendente e autonomo. Ci si riferisce in particolare, all’Ape sociale, cioè l’anticipo pensionistico, che viene prorogato di anno in anno con le varie leggi di Bilancio: non è una vera e propria pensione ma, appunto, è una prestazione corrisposta fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia; poi ci sono quelle pensioni, che possiamo far rientrare nella categoria delle pensioni anticipate, vedi la pensione riservata ai lavoratori cosiddetti precoci, cioè coloro che hanno almeno un anno di contribuzione effettiva prima dei 19 anni di età. Da non dimenticare, infine, le varie pensioni quota 100, 102 e la pensione anticipata flessibile quota 103 che, in pratica, sono soggetti a un divieto di cumulo, quasi totale con i redditi da lavoro.
Accompagnamento alla pensione
VERSAMENTI IN UNICA SOLUZIONE
L’Inps, con proprio messaggio del 14 agosto scorso, n. 2952, ha comunicato le nuove modalità di gestione dei versamenti relativi alle prestazioni di accompagnamento alla pensione (legge 28 giugno 2012, n. 92 – isopensione) e all’indennità mensile erogata ai lavoratori esodati a seguito di contratti di espansione (decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148).
Lo stesso messaggio fornisce, altresì, le indicazioni relative alle modalità di versamento in un’unica soluzione dell’importo dovuto dai datori di lavoro esodanti e illustra la nuova funzionalità disponibile sul “Portale prestazioni atipiche”, accessibile dal Portale Prestazioni esodo.
Il messaggio, inoltre, ricorda ai datori di lavoro esodanti di trasmettere ogni mese i flussi Uniemens relativi al periodo interessato, secondo le indicazioni fornite nel messaggio.
Chiarimenti
ASSEGNO PER CONGEDO MATRIMONIALE
Con il messaggio Inps del 14 agosto scorso, n. 2951, l’istituto di previdenza fornisce chiarimenti sull’assegno per congedo matrimoniale, a cui hanno diritto i lavoratori con qualifica di operaio dei settori dell’industria e dell’artigianato. A favore di questi lavoratori è previsto un periodo di congedo matrimoniale della durata di otto giorni consecutivi con il pagamento di un assegno, a carico dell’Ente assicuratore, pari a sette giorni di retribuzione.
La prestazione viene concessa in occasione del matrimonio civile o concordatario o unione civile, non è cumulabile con eventuali altri trattamenti retributivi o sostitutivi della retribuzione per lo stesso periodo, a eccezione dell’indennità giornaliera di inabilità per infortunio sul lavoro dell’Inail.
L’assegno per congedo matrimoniale non spetta ai lavoratori esclusi dall’applicazione delle norme che prevedono il versamento del contributo specifico alla Cassa unica assegni familiari (Cuaf).
I lavoratori stranieri hanno diritto alla prestazione se risultano acquisite in Italia sia la residenza, prima della data del matrimonio/unione civile, sia lo stato di coniugato.
Per poter beneficiare della prestazione è necessario che il rapporto di lavoro sia attivo da almeno una settimana e che il lavoratore rivesta la qualifica prevista dalla legge e sia alle dipendenze di un datore di lavoro appartenente ai settori sopra indicati.
La domanda deve essere presentata dal lavoratore con un preavviso di almeno sei giorni, salvo casi eccezionali.
Il messaggio, inoltre, fornisce informazioni sull’anticipazione della somma da parte del datore di lavoro e sul pagamento diretto della prestazione.
Inps
RDC: DOPO AGOSTO ALTRE 30MILA SOSPENSIONI
Ci saranno altre 30mila sospensioni del Reddito di cittadinanza, secondo quanto fanno sapere fonti Inps.
Le comunicazioni riguardano lo stop delle erogazioni, una volta esaurite le sette mensilità previste dalla legge, a famiglie senza minori, disabili e over 60 e non ancora prese in carico dai servizi socio-sanitari dei Comuni: la sospensione scatterà dopo la rata di agosto. Altri 50mila trattamenti saranno interrotti nei restanti mesi dell’anno, per un totale di 80mila nuovi casi che si aggiungono ai 159mila già comunicati via sms.
Secondo l’analisi del Consiglio nazionale dei giovani
UNDER 35: ALLARME PENSIONE
Per i lavoratori con meno di 35 anni la pensione sarà un vero e proprio miraggio. A lanciare l’allarme è il Consiglio nazionale dei giovani, organo rappresentativo delle ultime generazioni di fronte alle istituzioni, attraverso uno studio realizzato con Eures, la rete di cooperazione europea dei servizi dell’impiego. Da quanto emerso dall’analisi dei dati Inps, chi ha meno di 35 anni di età rischia di dover lavorare fino a 74 anni prima di poter ricevere un assegno di almeno mille euro.
Lo studio dal titolo ‘Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani’ pone ancora una volta l’atttenzione sulla discontinuità lavorativa e la precarietà crescente che, accorpate a retribuzioni basse e assenza di garanzie sociali, sono i principali ostacoli per le fasce più giovani e le donne sia per entrare nel mercato del lavoro, sia per conseguire una stabilità contrattuale e dei livelli retributivi accettabili.
“Tutto questo comporta un impatto significativo sulla situazione previdenziale futura dei giovani” ha spiegato la Presidente del Consiglio nazionale giovani, Maria Cristina Pisani, che ha formulato un appello sulla “necessità di un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali, che tenga conto anche delle esigenze delle giovani generazioni”.
“La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ mettono ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico – ha aggiunto la presidente del Cng – Questa tendenza impone ai cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti”.
Secondo il monioraggio del Consiglio nazionale dei giovani, le cause di questo fenomeno sono quindi ascrivibili principalmente tra questi fattori: discontinuità lavorativa; basse retribuzioni; mancanza di garanzie sociali; questione demografica; passaggio al sistema ‘contributivo puro’.
In base all’elaborazione dei dati Inps relativi al monte retributivo dei giovani (15-35 anni), in Italia i lavoratori con meno di 35 anni potranno lasciare la propria occupazione, stando a quanto prevede la legge, non prima dei 69,8 anni di età per maturare una pensione superiore 2,8 volte al minimo, per un importo di 1.249 euro lordi, cioè 951 euro al mese al netto dell’Irpef.
Per ottenere in media un trattamento ecnomico di almeno mille euro netti, gli under 35 dovrebbero smettere di lavorare a 73,6 anni, fino al 2057, raggiungendo i 1.561 euro lordi mensili (1.093 al netto dell’Irpef, 1.134 euro per gli uomini e 1.041 per le donne), pari a 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale.
Ritirandosi a quasi 74 anni, secondo le proiezioni del Cng, i lavoratori con partita Iva riceverebbero 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), equivalenti a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
Un quadro in linea con le stime dell’Ocse che calcola come le ragazze e i ragazzi del nostro Paese che a 22 anni hanno cominciato a lavorare nel 2020 perfezionerebbero il requisito anagrafico pensionabile a 71 anni, dato più alto tra i Paesi dell’Unione europea. Questo nonostante, come riporta l’ultimo rapporto Eurostat, la spesa pensionistica in Italia nel 2020 abbia costituito il 17,6% del PIL, il secondo più alto nell’Ue27 dopo la Grecia, e molto superiore alla media dell’Ue27 del 13,6.
Carlo Pareto