A poco più di un anno dalla sua istituzione, i beneficiari dell’assegno unico universale, Auu, hanno raggiunto quasi quota 10 milioni. La spesa complessiva peri primi dodici mesi di competenza è risultata pari a circa 16 miliardi di euro, erogati a 5,7 milioni di nuclei familiari medi al mese, per lo più non percettori di reddito di cittadinanza. E’ la fotografia scattata dall’Inps nel rapporto annuale. L`82% dei beneficiari appartiene a nuclei in cui almeno un genitore risulta lavoratore dipendente, il 10% appartiene a nuclei senza dipendenti, ma con almeno un genitore autonomo e il residuo 8% si riferisce a nuclei in cui entrambi i genitori non risultano inclusi tra i lavoratori. Il take-up della misura si aggira intorno al 90% e varia in relazione all`età del beneficiario, con valori che raggiungono il 95% per i figli più piccoli. L’Inps rileva anche un considerevole divario territoriale con un take-up medio che si attesta al 92% nelle province del Sud che si riduce al 86% nelle province del Centro e settentrionali. L`importo medio di competenza di dicembre 2022 per i nuclei Auu a domanda è risultato pari a 233 euro, mentre l`integrazione media dell`Auu per i percettori di RdC si è attestata su 169 euro. Circa il 17% dei richiedenti non presentano documentazione relativa all`Indicatore della Situazione Economica Equivalente(Isee). Si tratta soprattutto di famiglie a reddito più elevato, che, comunque, otterrebbero l`ammontare minimo dell`assegno. Tuttavia, si riscontra anche una maggiore probabilità di non presentare Isee tra gli autonomi e i professionisti e una maggiore incidenza di questo tipo di scelta nelle aree a minore capitale sociale; evidenze queste che “potrebbero segnalare come tra le motivazioni sottostanti alla scelta potrebbe esserci anche quella di evitare eventuali controlli”.
In calo i precettori del reddito di cittadinanza dalla sua introduzione fino ad aprile 2023. La misura, sostituita ora dall`Assegno di Inclusione e dal Supporto per la formazione e il lavoro, nel corso del 2020 e del 2021,anche a seguito della crisi pandemica, ha visto i nuclei beneficiari raggiungere, a giugno 2021, quota 1,6 milioni circa con quasi 3,5 milioni di individui coinvolti. Questo numero subisce una prima flessione nella seconda metà del 2021 e tende poi a ridursi ulteriormente nel 2022: a dicembre del 2022risultavano, infatti, percettori di RdC circa 1,4 milioni di nuclei familiari con circa 3 milioni di beneficiari. Nei primi quattro mesi del 2023 si rileva ancora una flessione nel numero dei nuclei beneficiari che si attestano a 1,2 milioni con circa2,5 milioni di individui percettori. Nel corso del tempo, poi, anche la composizione dei beneficiari di RdC è cambiata. Si è registrata una diminuzione dei beneficiari in età lavorativa e una riduzione del valore medio dell’indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee) dei nuclei percettori, indicando che i nuclei con condizioni economiche relativamente migliori hanno cessato di beneficiare della misura.
Lo stock di prestazioni pensionistiche erogate è rimasto “sostanzialmente invariato”. I pensionati sono circa 16 milioni, di cui il 52% donne, e l’importo lordo della spesa è poco sopra i 320 miliardi di euro. L’importo medio percepito dagli uomini è superiore del 36% a quello delle donne. L’istituto di previdenza eroga 315 miliardi di euro e oltre metà della spesa pensionistica è per prestazioni di anzianità/anticipate, seguite da vecchiaia e pensioni al superstite. Le prestazioni assistenziali (agli invalidi civili e pensioni/assegni sociali) assorbono l`8% del totale. Nel 2022 si registra una flessione del3% delle nuove prestazioni previdenziali riconducibile alla flessione dei trattamenti anticipati, in parte legato alla conclusione di “quota 100” (al 31 dicembre 2021) e anche delle pensioni al superstite che nel 2021 avevano raggiunto un massimo, presumibilmente legato all’aumento dei decessi per Covid. Si assiste invece a un incremento dell`8,1% delle prestazioni assistenziali.
Nel breve periodo la somma delle maggiori uscite dal lavoro derivanti dal sistema delle quote (100, 102 e 103) è superiore alla somma dei risparmi e, quindi, aumenta il valore del debito pensionistico. Tra il 2019 e il 2022 “quota 100” (62 anni di età e 38 anni di contributi) ha consentito l’uscita anticipata di 432.888lavoratori. Con “quota 102” (64 anni di età e 38 anni di contributi) le domande accolte sono state 10.563 (nel 2022 nehanno beneficiato 5.689 lavoratori). Con “quota 103” (62 anni di età e 41 anni di contributi) le domande accolte finora nel 2023sono state 5.125.”Questi istituti consentono un`uscita anticipata al di fuori dei principi generali in termini di anzianità contributiva e anagrafica – sottolinea l’istituto di previdenza – e sebbene l’importo della pensione sia correlato negativamente all’aspettativa di vita al pensionamento, assicurando in questo modo equità attuariale e tra le generazioni, almeno per la parte contributiva, questi provvedimenti incidono negativamente sul bilancio pensionistico. Infatti, l`accelerazione nelle uscite rispetto alla normativa vigente implica un anticipo della spesa per pensioni, a cui seguono minori spese in quanto l`importo delle prestazioni erogate è inferiore a quanto sarebbe avvenuto senza il provvedimento. Tuttavia, vi è evidenza che nel breve periodo la somma delle maggiori uscite sarà superiore alla somma dei risparmi e quindi l`operazione aumenterà il valore del debito pensionistico”.
Al 1° gennaio 2023 le donne andate in pensione con “Opzione donna” erano 174.535 (il 57,9% delle quali erogate a lavoratrici dipendenti). I pensionamenti con “Opzione donna” costituiscono il 16,3% del complesso delle pensioni anticipate liquidate a donne dal 2010 e l’assegno medio è del39,8% più basso rispetto alla media delle anticipate (1.171,19euro contro 1.946,92 euro). La differenza di importo, sottolinea l’istituto di previdenza, è in parte riconducibile al ricalcolo contributivo e in parte alla minore contribuzione rispetto alle anticipate, oltre al fatto chela propensione a utilizzare l’opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e, quindi, con minore contribuzione. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale delle prestazioni il 68,2% viene erogato al Nord, dove “Opzione donna” rappresenta anche il 19% degli anticipi, una percentuale superiore rispetto al resto del Paese. Le liquidazioni per anno di decorrenza non sono distribuite nel tempo in modo omogeneo e risentono delle riforme che si sono susseguite a partire dal 2010, la riforma Fornero in particolare che, bloccando di fatto il pensionamento di vecchiaia e di anzianità delle donne, ha favorito il ricorso all’opzione dal2012 in poi. Il calo del 2016 è dovuto all’innalzamento del requisito anagrafico per l`adeguamento alla speranza di vita.
L’esiguo numero di pensionamenti del 2017 è invece dovuto alla mancata proroga di “Opzione donna”, per cui con la legge di bilancio 2017 hanno potuto ricorrere all’opzione solo coloro che avevano maturato i requisiti d’età di 57/58 anni nel 2015 (sen-za l`aumento previsto invece in precedenza per l`adeguamento alla speranza di vita). L’ulteriore calo del 2018 è infine riconducibile all`innalzamento dell`età a 58/59 anni. L’invecchiamento della popolazione è fenomeno “sostanzialmente comune” a tutti i Paesi dell’Unione europea. Le conseguenze in termini di sostenibilità del sistema pensionistico sollevano “criticità importanti” che, con un peso diverso, riguardano la totalità degli stati membri. E’ quanto rileva il XXII rapporto annuale dell’Inps, sottolineando che “resta ancora sostanziale la quota di finanziamento della spesa previdenziale in capo alla fiscalità generale, che è superiore al25%, indice di un sistema non totalmente sostenibile con i soli contributi previdenziali”. La totalità dei sistemi europei utilizza il metodo a ripartizione che, pur con molteplici differenze, risente molto dello “squilibrio” tra platea degli attivi contribuenti e platea dei pensionati beneficiari. “Lo squilibrio – dice l’Inps – è evidente anche dal punto di vista degli importi versati a titolo di contributi, strettamente legati alle dinamiche del mercato del lavoro e specificatamente sia al margine intensivo (la quantità di lavoro offerto dai contribuenti, spesso ridotto da forme lavorative flessibili come il part time o turnover) che al margine estensivo (le dinamiche occupazionali, minate in questi anni dalle vicissitudini pandemiche e recessive)”.Proprio per favorire la competitività del mercato del lavoro durante i periodi di crisi si è cercato in molti Paesi dell`Ue di ridurre il costo del lavoro (cuneo contributivo). Queste agevolazioni, segnala l’istituto di previdenza, hanno acuito la riduzione della quota della contribuzione sociale negli ultimi anni a ulteriore aggravio della fiscalità generale. Inoltre, comune a molti paesi è la presenza di minimali contributivi. Tuttavia, aggiunge l’Inps, nei sistemi contributivi, contribuzioni ridotte determinano rate pensionistiche future ridotte, con tutte le conseguenze legate all`impoverimento delle fasce più anziane della popolazione. Secondo l’istituto “emerge la necessità di rafforzare prassi e politiche che puntino al consolidamento del mercato del lavoro e alla riduzione, per quanto possibile, delle discontinuità occupazionali. Il ruolo dei contributi sociali, infatti, sembra essere il punto più dirimente sia per la sostenibilità dei sistemi previdenziali che per la tutela delle condizioni di vita della popolazione anziana”.
Il numero delle istanze di invalidità civile è cresciuto nel corso del tempo passando da circa 766 mila nel 2014 a circa 920,5 mila nel 2019; un aumento di circa il 20%, certo non trascurabile, ma che va letto anche in relazione al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione che comporta una maggiore ricorrenza di malattie invalidanti (la popolazione di età superiore ai 75 anni nel nostro paese nel periodo in esame è cresciuta di circa 570 mila unità – dati Istat). Con l’insorgere della pandemia, nel 2020 si rileva, invece, un forte calo delle domande che poi riprendono ad aumentare nel2021. Quando si prendono in esame i principali raggruppamenti patologici emerge che le istanze presentate per tumori dal 2015al 2017 mostrano lievi riduzioni rispetto al numero registrato nel 2014 (si riduce anche la loro incidenza sulle domande totali), tuttavia nel 2018 e nel 2019 il numero delle richieste aumenta e supera quello del 2014 di circa il 5%. Nel 2020, a causa dell’emergenza Covid-19, si assiste ad una riduzione (del20%), ma più contenuta rispetto a quella osservata per le istanze relative agli altri raggruppamenti patologici (che hanno registrato riduzioni che vanno dal 33% al 37%). Infine, nel 2021il numero delle domande scende al di sotto di quello del 2014.Per quel che riguarda le malattie psichiatriche si nota un lieve calo nel 2015 e nel 2016, il numero torna però a superare, anche se di poco (1-2%), quello di partenza della nostra serie storica in tutti gli anni successivi ad eccezione del 2020. Un trend di continua crescita si osserva, invece, per le malattie cardiovascolari che sono passate da circa 84 mila nel 2014 a circa 116 mila nel 2019, e a circa 117 mila nel 2021, con una variazione dal 2014 al 2021 del 28%. Un trend crescente si evidenzia anche per le patologie del sistema nervoso (+9% da inizio a fine periodo in esame).Riguardo alla distribuzione di genere si nota che il 54% delle domande di invalidità pervenute dal 2014 al 2021 sono state presentate da donne.
L`aumento dei prezzi ha inciso sul potere d`acquisto in modo non omogeneo e sulla base dei dati Istat l`inflazione cumulata tra il 2018 e il 2022 sperimentata dalle famiglie del primo quinto della distribuzione della spesa sfiora il 15%, cinque punti percentuali in più dell`inflazione sperimentata dalle famiglie dell`ultimo quinto. Dallo scoppio della pandemia nel 2020 alla fine del 2022, dice l’istituto, in Italia è stato creato circa un milione di nuovi posti di lavoro e ciò ha favorito un forte recupero del reddito delle famiglie. Inoltre, per salvaguardare il potere d`acquisto dei pensionati con il decreto aiuti bis il governo ha aumentato temporaneamente del 2% i trattamenti mensili di importo fino a2.692 euro per i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2022(35.000 euro all`anno) e ha anticipato al 2022 la corresponsione del conguaglio derivante dalla differenza tra l`indice definitivo di perequazione 1,9% e la stima iniziale dell`1,7%, che avrebbe dovuto essere pagato a gennaio 2023.L`analisi effettuata suggerisce che l`aumento dell`occupazione ha effettivamente sostenuto il potere d`acquisto delle famiglie di lavoratori, anche se le uniche a non subire una perdita di reddito in termini reali sono quelle del primo quinto della distribuzione della spesa. Per quanto riguarda invece le famiglie che percepiscono solo redditi da pensione, le misure del decreto aiuti bis non sono state sufficienti a preservarne il potere d’acquisto. Tra il 2018 e il 2022, le famiglie del primo quinto della distribuzione della spesa perdono il 10,6% del reddito reale, mentre quelle dell`ultimo quinto perdono il 7,5% a riprova che la popolazione anziana risulta molto esposta alle dinamiche dei prezzi al consumo e che la perequazione non tutela adeguatamente le fasce più povere sul cui potere d`acquisto incide di più l`aumento dei prezzi.
Il taglio del cuneo contributivo, che prevede dal primo luglio di quest’anno un esonero del 7% per i lavoratori con un imponibile pensionistico mensile fino a 1.923euro mensili (25mila euro su base annua) e del 6% per i lavoratori con un imponibile pensionistico mensile tra 1.923 euro e 2.692 euro (35mila euro su base annua), porterà a 98 euro in più in busta paga. Il 57% dei lavoratori beneficerebbe di importi superiori ai 100 euro mensili, mentre considerando i lavoratori full time e full month l’ammontare dell’esonero arriverebbe a 123 euro.
Sul piano economico-patrimoniale, l’esercizio 2022dell’Inps chiude con un risultato positivo pari a 7,146 miliardi di euro, in miglioramento di 10,857 mld rispetto al 2021, quando il risultato di esercizio era pari a -3,711 mld. L’Inps, che precisa che la gestione finanziaria di cassa evidenza un avanzo di circa 41 miliardi. L’Istituto gestisce più di 420 miliardi di euro di entrate, di cui oltre256 miliardi sono le entrate contributive (con un incremento di 8 p.p. rispetto all’esercizio precedente) e 157 miliardi di trasferimenti pubblici affluiti tramite la Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, gestione che ha la finalità di assicurare la copertura degli oneri di natura assistenziale o che trovano il loro finanziamento nella fiscalità generale. L’incremento delle entrate contributive di 8 p.p. è dovuto all’andamento positivo del quadro macroeconomico che ha visto crescere il numero degli occupati e delle retribuzioni individuali. Le uscite per prestazioni istituzionali, pari a più di 380 miliardi, crescono nel 2022rispettivamente del 3,8% per le pensioni, del 4% per i trattamenti di disoccupazione, del 79,6% per quelli relativi alla famiglia (incremento dovuto al pagamento dell’AUU), mentre sono in diminuzione le spese per l’inclusione sociale (RdC e PdC, -9,4%).
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