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Il cambio di consonante di Matteo Salvini: «Tassiamo le baNche, non le baRche»! Il leader della Lega, vicepremier e ministro delle Infrastrutture, è abile coniatore di slogan, che in passato lo aiutarono a fare il pieno di voti. Ma ogni slogan, anche il più plastico, non è mai un conio zecchino: al meglio, la faccia luccicante di una moneta che ha sempre un altro verso.

L’ultima boutade di Salvini dal palco del Salone nautico di Genova, per rivendicare la tassa sugli utili bancari, racchiude letture a più livelli, causalità e dipendenze nel rapporto tra istituti di credito e settore nautico. «Dieci anni fa – ha detto Salvini – noi eravamo dall’altra parte della barricata, qualcuno pensava di salvare le casse dello Stato tassando le barche, noi abbiamo sostituito la R con la N. Io penso sia giusto chiedere un sacrificio alle banche, che faranno decine di miliardi di extraprofitti viste le decisioni della Bce. Ma la scelta passata di tassare bellezza e innovazione è stata una delle più controproducenti della storia italiana degli ultimi anni».

Più barche per tutti

Non sembra che “tassare bellezza e innovazione” abbia piombato la nautica italiana, settore di eccellenza che serve i clienti più ricchi del mondo e che dopo la crisi 2010-2015 è risalita a 7 miliardi di euro di ricavi. Mentre il cambio di consonante è una finezza da apprezzare ripercorrendo vent’anni di binomio banche-barche. Storia di successi e fallimenti inestricabili, che dovrebbe ispirare misura nei giudizi; e più misura istituzionale davanti alle proposte di legge che esecutivo e Parlamento coltivano su eventuali condoni ai debitori morosi. Tra i moli d’Italia, e nelle pieghe dei bilanci bancari, sono ancorati i vecchi errori, frutto delle antiche norme genere “più barca per tutti”. Barche lasciate a fare acqua, tenute a galla da banche che provano a svenderle per colmare buchi lasciati da incauti navigatori.

Le tasse al contrario dei centimetri

Prima fase, che potremmo dire gloriosa. Siamo agli inizi degli anni Duemila, il centrodestra berlusconiano si dispiega in tutta la sua potenza. Anche culturale, in un mezzo revival anni 80. Crescita, consumi, fiducia sono tre fattori ben presenti (anche grazie al debito) nel tessuto italiano, come nella narrazione politica. Il Cavaliere di Arcore, presidente operaio e molto altro, è anche presidente-ammiraglio: dalla tolda dei suoi tre yacht – celebre il Principessa VaiVia – nutre massima empatia per i navigatori italiani. Alcune misure dei suoi governi ne sono prova sonante. La prima, chiarita da una circolare 2002 dell’Agenzia delle Entrate, riduce l’Iva delle unità da diporto comprate in leasing, secondo un principio tecnico per cui più è grande l’unità acquistata a rate e più tempo può trascorrere, in realtà o in potenza, in acque internazionali, 12 miglia al largo delle coste europee. Un principio del tutto presuntivo, oltre che regressivo dal punto di vista fiscale, che tagliava l’Iva su ogni rata di leasing. Solo chi comprava un gozzo pagava il 22%, per metrature crescenti la tassa decresceva, fino al 6,6% sopra 24 metri.

Di lì a poco, sempre sulle ali del vento favorevole soffiato dai governi di centrodestra, un’altra norma interpretata estensivamente esenta dal pagamento dell’Iva l’attività di noleggio (“charter”): sia sull’acquisto delle barche in leasing sia sul rifornimento di carburante. I due provvedimenti lanciano l’attività diportistica e gli acquisti rateali, oltre che i finanziamenti a cantieri non sempre solidi. Velieri e motoscafi di 20 o 30 metri diventano abbordabili ad ampie fasce di italiani abbienti: tanto più che i canoni di leasing sono scritti apposta per tenere rate leggere nei primi anni, e botte finali che spesso non venivano pagate (tanto si rimodula) per arrivare a un riscatto tenuto al minimo visto che su quest’ultimo veniva applicata l’Iva al 22%.

La crisi finanziaria, che dagli Usa contagia il mondo dopo il crac di Lehman, provoca una severa stretta creditizia in Italia dal 2010. Anche i rischi sovrani lievitano, e Berlusconi deve cedere il passo al “tecnico” Mario Monti, sacerdote del rigore. Il governo Monti appesantisce la fiscalità del settore, ma la bolla nautica si è già bucata da sola. Il triennio 2008-2010 è il peggiore (per le banche), perché la domanda di yacht in leasing non si blocca di colpo. I dati Assilea censiscono nel triennio 5,38 miliardi di stipulato leasing, per 8.549 contratti: e pochi anni dopo il settore stima che sia andato in default il 9% dei quell’esposizione, pari a 478 milioni di perdite. Triennali. Per arrivare a oggi vanno aggiunte altre centinaia di milioni di rate lasciate lì dai vari presidenti di società di calcio, conduttori televisivi e immobiliaristi.

Le vendite dei clienti morosi

Unicredit, tra le banche più attive con circa un terzo del mercato all’epoca, perde milioni di conseguenza: tra il 2012 e il 2019 si è trovata costretta a vendere oltre 600 barche ritirate da suoi clienti morosi, diventando il primo venditore di barche in Europa nel decennio. Unicredit dovette addirittura realizzare un sito online per la vendita (used2sail) e un hub nautico a Genova con hangar dedicato, dove rimessare le barche già dei clienti.  Anche Ubi leasing e Intesa Sanpaolo si spesero parecchio. Tra l’altro, una barca è tra i peggiori beni reali possibili per un creditore: la banca, in attesa di venderla, deve pagare i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di ormeggio, e a volte gli arretrati dell’equipaggio. Sempre che il naviglio in questione non sia malandato e a rischio affondamento: nel qual caso ci si deve attrezzare per “tenerlo a galla” con una pompa di sentina accesa giorno e notte e con il personale a bordo finché la vendita (che in quel caso somiglia a una rottamazione) non si perfeziona. Quando recupera una barca, la banca perde molto più che sulla casa, o su altre garanzie.

Anche per questo l’attuale mercato del leasing mostra flussi più che dimezzati da allora, e maglie più strette: e tra gli operatori più attivi ci sono nuovi nomi come Bper e Credem. Tra l’altro, già dal 2018 l’Unione europea ha contestato le agevolazioni Iva italiane sulla nautica, da allora non più applicate: l’Iva sul leasing si può ridurre solo per la frazione di tempo annuo davvero navigata in acque extraterritoriali, e servono i dati Gps per attestarlo; mentre l’esenzione sui charter è ormai limitata alle attività di trasporto professionali, e così sui carburanti. Quanto al settore nautica, ha superato di slancio la pandemia e rialzato la testa, con tassi di innovazione ed esportazione che non paiono necessitare di leggi amiche. Né di quelle berlusconiane né di eventualli future leggi scritte male sui crediti in mora, che magari consentano a chi si è fatto la barca a debito di ricomprarla dalla procedura in cui l’ha spinta saltando le rate.



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