Così scriveva Norman W. Walker nella sua guida alla dieta vegetariana.
Cominciamo col dire che da noi, in Sicilia, con il termine “Muluni”, ovvero melone, si indica il melone per eccellenza: l’anguria (Citrullus lanatus).
L’anguria, con una bella “pollanca”, quella che conosciamo come pannocchia (Zea mays) – ma non dite così in Messico che la bella pannocchia, con una sola N, è tutt’altra cosa e un marito geloso vi rompe le corna – lungo le spiagge dell’isola rappresenta un momento di vera goduria per il palato.
Ma non parliamo di sostantivi che ci portano a discorsi di genere, con il risultato che se il melone è l’anguria, l’associazione con la pollanca rischia di diventare argomento trattato in libri in stellette in merito alle unioni tra individui appartenenti allo stesso genere, con tanto di richiesta alla Corte costituzionale perché ne affermi il diritto fondamentale di vivere una condizione di coppia.
L’anguria e la pannocchia devono unitamente poter condividere gli spazi delle libere spiagge, senza che nessuno ne faccia oggetto di derisione e discriminazione.
Dal palato alla pancia il passo è breve, e quando il sole è allo zenith, ecco che la pancia prepotentemente vuole a sua parte.
Anelletti a forno, melanzane fritte o ripiene, cotolette e ogni altro ben di Dio, trasformano la giornata mare e sole in un banchetto luculliano degno della stanza d’Apollo nella quale il politico romano, da cui prende il nome il banchetto, fece servire la cena a Cicerone e Pompeo.
Ma torniamo al nostro melone, all’anguria.
Con i suoi colori, il verde, il bianco, il rosso, i suoi semini neri, ricorda i tanti partiti politici i cui uomini affollano gli scranni del Parlamento.
Uomini, partiti e simboli che hanno spaziato dal mondo vegetale a quello animale.
Dalla possente quercia alla timida margherita, dall’ulivo all’asinello – mai emblema fu più azzeccato -, al mondo acquatico della Balena Bianca.
E i pesci?
A mia memoria di squali ne sono passati tanti, e anche una trota… anzi, il trota…
Dite la verità, l’avevate dimenticato?
Ma non solo vegetali e animali, anche falci, martelli, fiamme, spade, e persino elmi vichinghi adornati da possenti corna.
Tutti, in comune, a quattro ganasce si son mangiati l’Italia.
Ma se politici e banchetti sono un binomio indissolubile nel nostro bel paese, altrettanto non può dirsi per il popolo che, nella migliore delle ipotesi, può ricorrere soltanto alla dieta vegetariana di Norman W. Walker, anche qui costi permettendo.
Per chi non può permettersi neppure questo, consiglio la lettera aperta di un nostro lettore al ministro Francesco Lollobrigida a proposito di “ogliu di mari, petri e na liccata di sarda”.
Cosa mangiano dunque gli italiani che non fanno i politici?
Le chiacchiere!
E già vi vedo con l’acquolina in bocca pensando alle deliziose sfoglie fritte, con una spolverata di zucchero a velo, che si dice siano nate alla corte della regina Margherita di Savoia.
Vi sbagliate. Più prosaicamente si tratta delle chiacchiere dei politici alle quali si riferivano lo storico greco Tucidide e Platone a proposito della demagogia, delle false promesse e degli inganni in danno degli elettori.
I politici parlano alle pance che restano vuote.
In periodo di campagna elettorale gli esponenti di partiti e coalizioni fanno a gara a chi promette di più: riduzione delle tasse, aumento delle pensioni, togliere le accise sul carburante, azzerare l’Iva su generi di prima necessità come il pane e la pasta, sconfiggere la povertà.
Alle promesse al popolo fanno seguito gli pseudo programmi apparentemente, ma solo apparentemente, di carattere più politico.
Anche in questo caso, infatti, si parla alla pancia degli italiani, ovvero cercare di andare incontro a quello che è il pensiero comune di un popolo che ha bisogno di un nemico sul quale scaricare la propria rabbia e la propria insoddisfazione.
Divide et impera, dicevano gli antichi romani.
Ecco dunque che diventa un impegno elettorale di natura politica l’uscita dall’euro, il referendum sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea e tutti i referendum abrogativi in materia di trattati internazionali, che secondo l’articolo 75 della costituzione non possono essere soggetti a referendum, il blocco navale per fermare i migranti, e tutte le altre cialtronerie funzionali a controbilanciare le altrettante cialtronerie della controparte politica..
Se per anni sono state sufficienti le promesse trasversali alle forze politiche, come l’abolizione del bollo auto, l’abolizione del Canone Rai, l’abolizione delle accise sulla benzina, portare le pensioni minime a mille euro e altre amenità simili – mai realizzate – per essere eletti, il salto di qualità è stato l’abolizione della povertà.
Ma ad ogni azione corrisponde una reazione, e di conseguenza la contro-promessa.
All’abolizione della povertà, ha fatto seguito l’abolizione della discussa misura di sostegno (il Reddito di cittadinanza) che certamente non ha abolito la povertà, ma che ha permesso a centinaia di migliaia di famiglie di sopravvivere, abolendo così… i poveri.
Una promessa mantenuta, rispetto le tante disattese.
L’immigrazione ha infatti raggiunto livelli record, il sistema dell’accoglienza è in pre-collasso e i Comuni sono sul piede di guerra; il bollo auto si continua a pagare, così come il Canone Rai; le pensioni rimangono da fame e le accise sul carburante nessuno le ha mai tolte.
Nessuna uscita dall’euro nè referendum sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea.
L’abolizione dell’abolizione della povertà, avrebbe in teoria – ma solo in teoria – dovuto favorire l’occupazione dei tanti scansafatiche che preferivano poltrire sul divano anziché lavorare.
Ecco dunque che il Rdc viene sostituito con il Siisl (sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa) che per 12 mesi garantirà 350 euro – anziché 500 – ai cosiddetti “occupabili”, i quali grazie alla nuova iniziativa di governo potranno finalmente trovare lavoro presso quelle imprese che lamentavano di non riuscire a trovare manodopera a causa del Rdc.
Come riportato da “Affari Italiani”, gli annunci di lavoro pubblicati dal sistema sono poco meno di 21 mila per circa 60 mila posti a fronte di 159 mila famiglie che hanno perso il diritto al reddito di cittadinanza e che diventeranno circa 600 mila entro la fine dell’anno.
Come se non bastasse, il 65% delle offerte viene da aziende del nord, meno del 7% da quelle del sud a fronte del fatto che il 70% delle persone che sono state escluse dal reddito di cittadinanza vive nel sud.
Ed è al sud che il dato della catastrofe emerge in tutta la sua gravità.
In Sicilia abbiamo 150 annunci di lavoro con 38 mila famiglie rimaste senza reddito di cittadinanza; in Campania 37 mila famiglie senza più Rdc e 340 proposte di lavoro; in Calabria 80 posti per 14 mila.
E tutti i camerieri che servivano ai ristoranti che rischiavano di chiudere per mancanza di personale?
I camerieri richiesti in tutta Italia, una volta abolito il Rdc, sono soltanto 300.
Rimane il gran cavallo di battaglia di tutte le battaglie: il ponte sullo Stretto di Messina.
Giuseppe Conte lo avrebbe valutato come destinazione dei fondi del Recovery Fund, Matteo Renzi lo rispolverò in occasione della campagna referendaria, nel 2001 era nei programmi elettorali di Rutelli e Berlusconi, oggi lo riesuma Matteo Salvini.
Alle elezioni comunali del giugno 2017, Stefano Torre, candidato sindaco di Piacenza, prometteva di creare un vulcano nella sua città, di distribuire viagra gratuitamente a tutti gli over 55, e di eliminare la morte.
Raccolse solo 1.800 voti.
“Ho fatto la figura della persona seria che parla da giullare in un mondo di giullari che parlano da persone serie. Le mie proposte, stranamente, erano persino più credibili di quelle dei miei avversari che si vestivano di sobrietà, assumendo un contegno e delle pose che di solito non hanno.”
Beh, sarebbe bastato che avesse fatto il giullare seriamente, e oggi sarebbe sindaco con dinanzi una carriera politica che lo avrebbe certamente portato in Parlamento…
In un mondo di giullari che parlano da persone serie, non resta che sperare nella candidatura dell’onorevole Cetto La Qualunque…
Dall’Italia, Gian J. Morici