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Con la sentenza n. 209/2022, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni legislative in materia di IMU, succedutesi nel tempo, che hanno condizionato il godimento dell’esenzione per l’abitazione principale alla collocazione, nello stesso immobile, di residenza anagrafica e dimora abituale del nucleo familiare e non del solo possessore dell’immobile stesso[1].

Si tratta di una pronuncia di notevole importanza, per diversi motivi.

Dal punto di vista applicativo, occorre notare come, negli ultimi anni, diversi Comuni abbiano negato l’esenzione nelle ipotesi di residenze disgiunte dei coniugi e così proceduto a riprese che spesso sono sfociate in contenziosi tributari.

Come si vedrà, la pronuncia in commento elimina dall’enunciato normativo il riferimento al nucleo familiare, rendendo ingiustificato ogni diniego al godimento dell’esenzione fondato sulla mancanza della coabitazione nell’immobile dei componenti del nucleo familiare.

La sentenza n. 209/2022 consente di chiudere i giudizi pendenti a favore dei contribuenti e di fondare istanze di rimborso per i tributi versati indebitamente. Di riflesso, è prefigurabile un impatto negativo per le casse di quei Comuni che avevano fatto pieno affidamento su tali entrate, basandosi su un orientamento granitico (ma oggi non più proponibile) della giurisprudenza di legittimità.

Dal punto di vista teorico, il percorso motivazionale contenuto nella sentenza risulta particolarmente apprezzabile, perché ricostruisce i presupposti della agevolazione in esame alla luce della struttura e della ratio del tributo municipale, giungendo a configurare un nuovo perimetro di rilevanza fiscale della nozione di famiglia.

Su queste basi, la Consulta assoggetta al proprio scrutinio di legittimità costituzionale non solo la disposizione legislativa oggetto delle ordinanze di rimessione, ma anche, “in via consequenziale”, la disposizione normativa (l’art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 146/2021) che, a partire dal 1° gennaio 2022, avrebbe dovuto recare la nuova disciplina dell’esenzione IMU per l’abitazione principale.

Dalla sentenza deriva una totale censura delle scelte normative adottate nel corso degli anni in merito alla esenzione in oggetto, avendo il legislatore tributario configurato un modello normativo incompatibile tanto con i principi costituzionali e ordinamentali di riferimento, quanto con la concezione di famiglia che emerge dall’attuale contesto sociale ed economico.

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Nucleo familiare ed esenzione IMU per l’abitazione principale nel diritto positivo e nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità

Per meglio comprendere il ragionamento svolto dalla Corte costituzionale e valutare le conseguenze della pronuncia n. 209/2022, pare necessario ricostruire i termini della questione giuridica esaminata[2].

La disposizione normativa oggetto del vaglio di costituzionalità[3] è contenuta nell’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011, successivamente confluita nell’art. 1, comma 741, lett. b), L. n. 160/2019 (c.d. “nuova IMU”), che definisce il concetto di abitazione principale ai fini della esenzione[4].

La norma contiene due enunciati.

Il primo (che possiamo definire “principale”) con cui si individua il concetto di abitazione principale quale “immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”[5].

Il secondo a mente del quale “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.”[6].

Chiamata ad interpretare la disposizione di legge, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la ratio antielusiva del secondo enunciato[7], mentre, con riferimento all’enunciato principale, ha prospettato, superando il dato meramente letterale, la spettanza della agevolazione per ciascun immobile di residenza anagrafica e dimora abituale dei vari componenti del nucleo familiare[8].

A partire dal 2019, la Corte di cassazione ha però consolidato un diverso orientamento, fortemente criticato in dottrina[9], secondo il quale l’agevolazione richiederebbe la residenza anagrafica e la dimora abituale nell’immobile di ogni componente del nucleo familiare[10], negando in caso contrario l’esenzione in relazione a tutti gli immobili posseduti[11].

Nella elaborazione della Corte di cassazione, simile interpretazione è fondata sulla lettera della disposizione normativa, da interpretarsi in modo restrittivo trattandosi di agevolazione, ma anche sull’idea di unicità dell’abitazione familiare: tanto è vero che in caso di disgregazione del legame matrimoniale si giustifica, quale circostanza oggettiva ed eccezionale, la pluralità di residenze e, quindi, di “abitazioni principali”[12].

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In altre pronunce, la Corte di cassazione, rendendosi conto della possibile lesione dei principi costituzionali, ha limitato il godimento dell’agevolazione ad uno solo tra gli immobili posseduti dal nucleo familiare[13]. In un caso in cui la residenza disgiunta dei coniugi era necessitata da esigenze lavorative, la Corte ha affermato che l’agevolazione spetta in relazione all’immobile nel quale si realizza “l’abitazione principale del nucleo familiare, riconoscendo l’esenzione solo allo stesso”[14].

Questa opzione ermeneutica valorizza il riferimento normativo al nucleo familiare come necessità che, pur nella pluralità di residenze anagrafiche e dimore, si possa comunque individuare un immobile nel quale la vita familiare dei coniugi si concentri e si svolta in maniera prevalente.

È come se, oltre alla residenza anagrafica ed alla dimora abituale dei singoli coniugi, la norma richiedesse di determinare quale sia la residenza effettiva del “nucleo familiare”, quasi considerato come un soggetto a sé stante[15].

Tuttavia, anche in questa versione meno restrittiva, la posizione della Suprema Corte appare fondata sul presupposto della indefettibile unità dell’abitazione familiare e quindi della necessaria coincidenza di residenza e dimora dei coniugi, superabile solo in ipotesi straordinarie e residuali.

Oltre a rivelare una oggettiva difficoltà, in concreto, a determinare, tra le diverse abitazioni del nucleo familiare, quella [si perdoni la sgrammaticatura] “più principale” delle altre[16].

Il legislatore tributario ha comunque deciso di seguire la strada della limitazione quantitativa dell’esenzione per il nucleo familiare, con l’art. 5-decies, comma 1, D.L. 21 ottobre 2021, n. 146[17]: “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.

Volendo rispettare i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità ma anche semplificare la dimensione applicativa dell’esenzione, il legislatore tributario ha rimesso alla scelta discrezionale dei coniugi l’individuazione dell’immobile da agevolare (legittimando così, in modo discutibile, anche valutazioni di convenienza fiscale), indipendentemente dal fatto che gli immobili siano situati nel territorio comunale o in comuni diversi.

Le motivazioni della incostituzionalità: l’irragionevolezza delle disposizioni normative in considerazione della natura e della ratio del tributo municipale

Il panorama normativo ed interpretativo delineato è stato completamente stravolto dalla sentenza Corte Cost. n. 209/2022, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma di legge oggetto delle due ordinanze di rimessione (quarto e quinto periodo del comma 2 dell’art. 13, D.L. n. 201/2011) ed anche, in via consequenziale, dell’art. 1, comma 741, lett. b), L. n. 160/2019, nonché dell’art. art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 146/2021[18].

L’incostituzionalità riguarda la scelta normativa di collegare l’agevolazione alla individuazione, nell’immobile, della residenza anagrafica e della dimora abituale [dei componenti] del nucleo familiare. La limitazione soggettiva al godimento dell’esenzione che ne deriva si rivela, a giudizio della Consulta, irragionevole e quindi discriminatoria in riferimento agli artt. 3, 31 e 53 Cost.

La Corte costituzionale ricostruisce, in primo luogo, il carattere di norma di esenzione (e non di esclusione, in quanto non avente carattere strutturale) dell’agevolazione IMU per l’abitazione principale[19].

La disposizione risulta, nota la Corte, “poco lineare rispetto ai principi che giustificano l’autonomia fiscale locale”: esentando le abitazioni principali dei residenti dalla più importante imposta municipale, “questa finirà per risultare a carico di chi non vota nel comune che stabilisce l’imposta”.

La non tassazione dell’abitazione principale non rappresenta una scelta normativa discendente dalla natura e dalla ratio del tributo municipale, bensì una deroga rispetto ai principi strutturali IMU, in vista del raggiungimento di finalità “extra-fiscali”[20]. Finalità che la Corte specificamente individua nel favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione (art. 47, comma 2, Cost.).

In una simile prospettiva, nota la Consulta, dovrebbe essere del tutto irrilevante la situazione personale del possessore dell’immobile: “il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo”. Emerge, quindi, una incoerenza intrinseca della disposizione agevolativa (che è elemento di irragionevolezza e dunque di violazione dell’art. 3 Cost.) che impone non tanto di affrontare la questione della estensione soggettiva dell’agevolazione[21], quanto di “rimuovere gli elementi di contrasto” della norma con i principi costituzionali “quando tali status in sostanza vengono, attraverso il riferimento al nucleo familiare, invece assunti per negare il diritto al beneficio”.

L’incoerenza e l’irragionevolezza della disposizione agevolativa, nel momento in cui limita l’esenzione collegandola ad uno status del contribuente e ad una verifica che riguarda il suo nucleo familiare, si palesa anche in relazione all’art. 53, comma 1, Cost.[22].

Essendo l’IMU un’imposta “reale” e non “personale”, non risulta coerente che rilevino, nel tessuto normativo del tributo, “relazioni del soggetto con il nucleo familiare e, dunque, lo status personale del contribuente”, ma solo elementi come “la natura, la destinazione o lo stato dell’immobile”.

Sotto il profilo della violazione dell’art. 53, comma 1, Cost., appare però a nostro avviso maggiormente convincente l’osservazione che, nel confronto tra le due situazioni (quella dei coniugi che risiedono in immobili diversi posseduti e quella dei coniugi che risiedono nel medesimo immobile) non è dato apprezzare una diversa capacità contributiva tale da giustificare lo sfavore per le ipotesi di residenza disgiunta: in quest’ultimo caso, infatti, viene meno “la maggiore economia di scala che la residenza comune potrebbe determinare, ovvero la convivenza in un unico immobile, fattispecie che per tabulas nel caso in considerazione non si verifica”.

Le motivazioni della incostituzionalità: l’irragionevolezza delle disposizioni normative in considerazione della dimensione ordinamentale e sociale della famiglia

L’irragionevolezza delle limitazioni soggettive all’esenzione si apprezza altresì valutando le stesse nel quadro socio-economico e in una dimensione sistematica, ossia alla stregua delle disposizioni che, nell’ordinamento giuridico italiano, disciplinano la vita coniugale e il nucleo familiare.

Per il primo profilo, la Consulta sottolinea che nell’attuale contesto, “caratterizzato dalla mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale”.

Per il secondo, la Corte rileva che non può essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 c.c., dal momento che una “determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l’affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte”. Rispetto a tale possibilità, nemmeno si oppongono le norme sulla residenza “familiare” dei coniugi (art. 144 c.c.) o “comune” degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, L. n. 76/2016; inoltre, l’art. 45 c.c. contempla espressamente l’ipotesi di residenze disgiunte.

Per inciso, va rilevato come la Consulta faccia più volte riferimento ai componenti dell’unione civile, equiparandoli ai coniugi ai fini dell’esenzione in parola[23]. L’aspetto è di sicuro rilievo, perché evidenzia come, in entrambe le situazioni, si debba parlare di “nucleo familiare” e come l’assimilazione (tra coniuge e persona civilmente unita) di cui all’art. 1, comma 20, L. n. 76/2016) si presti ad essere interpretata in modo ampio, attribuendo alla stessa una generale valenza ai fini fiscali[24].

Le considerazioni della Consulta appaiono del tutto condivisibili ed in linea con le critiche avanzate dalla prevalente dottrina all’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Dal sistema giuridico vigente (anche come connotato dal c.d. diritto vivente) e dal contesto economico-sociale, non è possibile in alcun modo affermare l’idea della necessaria coesistenza, nel medesimo immobile, della residenza anagrafica e della dimora abituale dei coniugi e, a maggior ragione, di tutti i componenti del nucleo familiare.

Secondo l’interpretazione prevalente dell’art. 144 c.c., la convivenza fisica non è da considerarsi essenziale per la comunità coniugale, ben potendo l’unità familiare essere espressa dalla stabilità della formazione sociale.

Inoltre, l’assenza di coabitazione non costituisce una violazione dei doveri coniugali, qualora sia intervenuto un accordo tra i coniugi in tal senso.

Non risulta, quindi, in alcun modo ragionevole la scelta di favorire fiscalmente le sole famiglie che hanno deciso di mantenere sotto un unico tetto tutti i propri componenti e, viceversa, penalizzare quei nuclei familiari che, pur nel rispetto dell’unità della famiglia e della comunità coniugale, intendono collocare diverse residenze in ragione delle effettive esigenze di vita.

La discriminazione e la penalizzazione della famiglia quale conseguenza dell’irragionevolezza

Nel momento in cui la legge riserva un diverso trattamento ai coniugi che convivono rispetto ai coniugi che non convivono, la discrezionalità legislativa diviene arbitraria e la disciplina si presta ad essere considerata come discriminatoria.

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La discriminazione si palesa anche confrontando il più favorevole trattamento invece riservato ai singles o ai conviventi di fatto: soggetti che accedono all’agevolazione per il solo fatto di avere collocato la residenza nell’immobile posseduto e che possono così “moltiplicare” l’esenzione[25].

Oltre a violare l’art. 3 Cost. e l’art. 53 Cost., una scelta legislativa di questo tipo si pone in contrasto con l’art. 31 Cost. che, osserva la Consulta, suggerisce trattamenti, anche fiscali, a favore della famiglia e si “oppone, in ogni caso, a quelli che si risolvono in una penalizzazione della famiglia”.

La famiglia è penalizzata dalla previsione legislativa perché nell’attuale contesto sociale ed economico essa si connota anche in termini non tradizionali[26], allorché i coniugi decidano – per motivazioni le più varie possibili – di non coabitare stabilmente, mantenendo però l’unione coniugale.

Riconoscendo l’esigenza di tutela di tali modalità di svolgimento della vita familiare, la Consulta giunge a tutelare la famiglia in quanto tale, come essa si definisce nel tempo presente.

La penalizzazione derivante dalla limitazione soggettiva dell’esenzione risulta poi eclatante se si considera, come fa la Corte, che la norma censurata finisce addirittura per beneficiare la definitiva di disgregazione del nucleo familiare.

Dato che la separazione coniugale può giustificare la residenza disgiunta e quindi il godimento plurimo dell’agevolazione, si rischia di incentivare la frattura del vincolo coniugale, oltre a stimolare fenomeni simulatori (ossia di separazioni fittizie) orientati allo scopo del risparmio fiscale[27].

I rischi elusivi (rectius evasivi) della residenza disgiunta tra automatismi normativi e attività accertativa dei Comuni

Una riflessione a parte merita quella che la Corte chiama la “giustificazione in termini antielusivi” della disposizione normativa esaminata, collegata al “rischio che le cosiddette seconde case vengano iscritte come abitazioni principali”.

Si tratta di una ispirazione che indubbiamente emerge dal tessuto normativo, se solo si considera la limitazione dell’agevolazione ad un solo immobile per nucleo familiare prevista nel quinto periodo dell’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2012 (in caso di residenza e dimora abituale dei coniugi in immobili situati nel medesimo Comune) e nell’art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 146/2021 (in tutti i casi e a scelta dei contribuenti).

Il rischio evocato dalla Consulta è quello che i coniugi scelgano due diverse residenze anagrafiche senza però avere una altrettanto disgiunta dimora abituale, invece collocata in uno solo dei due immobili, per ottenere una duplicazione del beneficio fiscale.

A ben vedere, in questi casi, non si è in presenza di una fattispecie elusiva: la non corrispondenza tra residenza anagrafica (requisito formale) e dimora abituale (requisito sostanziale) del possessore determina una falsa rappresentazione della situazione di fatto assunta dal presupposto del tributo configurando, quindi, una fattispecie di evasione fiscale.

Tali comportamenti, però, possono essere posti in essere da ogni contribuente, nel momento in cui rappresenta falsamente di avere la propria dimora nell’immobile in cui ha fissato la residenza anagrafica. La Corte correttamente specifica che “tale rischio esiste anche per i conviventi di fatto” che possono, in assenza dei presupposti di legge, moltiplicare artificiosamente le agevolazioni per l’abitazione principale.

Soprattutto, però, si tratta di fenomeni che i Comuni possono (debbono) fronteggiare utilizzando gli strumenti che già il sistema normativo mette loro a disposizione: tramite l’ordinaria attività di accertamento, le amministrazioni comunali hanno i poteri per verificare (in relazione a tutti i contribuenti) se, in relazione ad ogni singolo immobile, la residenza “formale” coincide con quella “sostanziale” (dimora abituale).

La Consulta ricorda che i Comuni dispongono di “efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazione”, potendo anche avere “l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale”.

Il diverso trattamento previsto dalla norma censurata non può, secondo la Corte costituzionale, essere giustificato (e, quindi, divenire ragionevole) alla luce di una finalità antielusiva (meglio, antievasiva).

In questo passaggio della sentenza emerge l’idea che la limitazione soggettiva contenuta nella disposizione normativa riveli un carattere di non proporzionalità, nei limiti in cui l’ordinamento concede strumenti maggiormente adeguati all’amministrazione comunale che voglia perseguire ogni indebito godimento dell’agevolazione.

Vi è, in questo, una precisa e del tutto condivisibile responsabilizzazione dei Comuni nell’esercizio della potestà impositiva, una volta venuti meno automatismi normativi non compatibili con i valori di riferimento[28].

La pars construens della sentenza n. 209/2022: l’effetto modificativo della disposizione di esenzione derivante dalla decisione “manipolativa”

Come un uragano gentile, la pronuncia in epigrafe travolge le diverse norme di legge e l’orientamento consolidato della Corte di cassazione, allo stesso tempo ricostruendo un quadro normativo del tributo municipale più aderente ai valori costituzionali e sociali di riferimento.

La pronuncia in commento è da annoverare tra le decisioni cosiddette manipolative, con cui la Corte procede direttamente ad una modificazione delle disposizioni sottoposte al suo esame: in esito al giudizio costituzionale, le stesse sono rielaborate con una portata normativa diversa (in tutto o in parte) da quella originaria[29].

In particolare, l’effetto della sentenza n. 209/2022 è di tipo sostitutivo perché l’illegittimità incostituzionale è dichiarata in relazione al quarto periodo dell’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2022[30] nella parte in cui stabilisce che “[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, “anziché disporre: [p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente” (il corsivo è nostro, N.d.A.).

È questo l’enunciato normativo rielaborato dalla Consulta, che si accompagna alla completa espunzione dall’ordinamento del quinto periodo dell’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2022, con la conseguenza che la medesima regola giuridica deve applicarsi indipendentemente dalla circostanza che gli immobili siano situati in Comuni diversi o all’interno del medesimo Comune[31].

Regola giuridica destinata ad operare anche per il futuro, vista la dichiarata incostituzionalità della previsione contenuta nell’art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 46/2021 che, a partire dall’anno 2022, avrebbe dovuto limitare l’agevolazione ad un solo immobile scelto dai coniugi[32].

È possibile affermare che la disposizione normativa, proprio per la natura manipolativa dalla pronuncia n. 209/2022, non necessita di essere completata da alcun nuovo intervento legislativo[33].

Venuto meno ogni riferimento al nucleo familiare nella disposizione agevolativa, i due presupposti dell’esenzione sono da riferire esclusivamente al possessore dell’immobile: la residenza anagrafica, requisito formale, si deve determinare in base all’iscrizione del soggetto nell’anagrafe del Comune; la dimora abituale, requisito sostanziale, si individua considerando l’effettivo svolgimento della vita del solo possessore dell’immobile.

Si è inoltre osservato come la Consulta abbia anche indicato alle amministrazioni comunali gli strumenti più appropriati per colpire i fenomeni evasivi.

A questo proposito sembra opportuno svolgere due considerazioni.

La prima: applicando i principi elaborati dalla Consulta, le amministrazioni comunali non possono contestare il godimento dell’agevolazione semplicemente dimostrando che il centro della vita familiare è prevalentemente collocato in un immobile diverso (per esempio quello posseduto dall’altro coniuge).

Eliminato il riferimento nella norma al concetto di “nucleo familiare”, ogni contestazione non può che riguardare il possessore considerato come singolo e non come componente di una famiglia, senza alcun rilievo delle dinamiche personali degli altri componenti del nucleo familiare. Quindi, il Comune può solo accertare che quell’immobile, in cui il possessore ha collocato la residenza anagrafica, non rappresenta la dimora abituale del soggetto: in definitiva, dimostrare la fittizietà della residenza anagrafica.

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La seconda: la residenza disgiunta non è idonea ad integrare un’ipotesi di abuso del diritto (elusione fiscale) ai sensi dell’art. 10-bis, L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente).

Per applicare il divieto di abuso del diritto in tali situazioni, si dovrebbe ritenere che il Comune possa scendere nel merito della scelta familiare della residenza disgiunta e ritenere la stessa come dettata da esclusive (o del tutto prevalenti) finalità fiscali. In questo modo, però, si finirebbe per far “rientrare dalla finestra” ciò che la Consulta ha “fatto uscire dalla porta”, dato che il nucleo della contestazione riguarderebbe allora la presenza o meno di oggettive ragioni tali da giustificare la mancata convivenza. Inoltre, si finirebbe per sindacare nel merito una scelta (quella della residenza disgiunta) che la Consulta oggi afferma potersi maturare in modo del tutto libero (e, allora, non sindacabile, nemmeno dal Fisco) all’interno della coppia[34].

L’incidenza della pronuncia sui rapporti pendenti

Data la portata ex tunc delle sentenze della Corte costituzionale, in alcun modo limitata dalla pronuncia in commento[35], si deve ritenere che la “nuova” formulazione normativa operi anche per il passato.

Con riferimento alle situazioni giuridiche pendenti, comunque interessate dalla sentenza n. 209/2022, si pongono specifiche problematiche applicative.

L’ipotesi che con maggior frequenza può presentarsi è quella dei contribuenti che sono stati destinatari di atti di accertamento con cui i Comuni hanno disconosciuto l’agevolazione in ragione della residenza disgiunta dei coniugi.

Qualora i contribuenti abbiano impugnato gli atti impositivi e siano in corso i contenziosi tributari, questi sono destinati a concludersi con la vittoria dei contribuenti medesimi, dovendo i giudici applicare la disposizione così come interpretata dalla Consulta[36].

Nelle settimane successive al deposito della sentenza n. 209/2022, si è osservato come diverse amministrazioni comunali abbiano provveduto ad annullare gli atti impositivi sub iudice, con conseguente cessazione della materia del contendere, cercando così di evitare la condanna alle spese di giudizio, facendo valere la tempestività dell’annullamento rispetto alla pubblicazione della sentenza della Consulta.

Qualora, invece, i contribuenti abbiano prestato acquiescenza agli atti impositivi, versando il quantum richiesto, si deve ritenere di essere in presenza di un rapporto ormai esaurito che non può legittimare la richiesta di rimborso da parte dei contribuenti medesimi. Lo stesso deve affermarsi nell’ipotesi di sentenza favorevole al Comune divenuta definitiva.

In questi casi, la sola possibilità per i contribuenti di recuperare il tributo versato è affidata alla, del tutto discrezionale, scelta del Comune di procedere in autotutela, annullando l’atto impositivo nonostante la definitività o l’intervenuto giudicato. Si tratterebbe di una opzione certamente virtuosa, in quanto diretta ad allineare l’imposizione fiscale ai valori costituzionali nel rispetto del principio della “giusta imposta”, ma che appare piuttosto inverosimile dato l’impatto finanziario che ne deriverebbe.

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Altra ipotesi configurabile è quella dei contribuenti che abbiano spontaneamente (quindi non a seguito di attività accertativa del Comune) disapplicato l’esenzione in relazione a tutti gli immobili posseduti dai coniugi o in relazione ad uno dei due immobili.

In questi casi, i contribuenti possono senz’altro esercitare il diritto al rimborso, non essendosi formata acquiescenza, ma nel rispetto del termine quinquennale di cui all’art. 1, comma 164, L. n. 296/2006. Termine che, volendo seguire l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità[37], deve computarsi considerando come dies a quo il momento in cui è stato versato il tributo[38].

Occorre tuttavia osservare che, presentando la richiesta di rimborso, il contribuente è tenuto a dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla disposizione agevolativa[39]. In ossequio ai principi che regolano i rapporti tra Fisco e contribuente nelle procedure di rimborso, l’amministrazione comunale potrebbe dunque negare la restituzione del tributo, qualora non sia adeguatamente provato il dato fattuale della dimora abituale nell’immobile posseduto[40].

Ciò può condurre, in concreto, ad una significativa difficoltà a sostenere le istanze di rimborso per i singoli contribuenti, nonché – verosimilmente – ad una nuova stagione di controversie fiscali.

Note

[1] La sentenza è commentata anche da G. Corasaniti, Esenzione IMU, abitazione principale e nucleo familiare: si pone fine a discriminazioni e irragionevolezze, in Corr. trib., 2022, 39 ss.; L. Lovecchio, Esenzione IMU per abitazione principale applicabile per entrambe le case dei coniugi con residenza disgiunta, in Il fisco, 2022, 4131 ss. Si vedano inoltre le riflessioni svolte da E. De Mita, IMU sulla prima casa, la rotta della Consulta per controlli più tempestivi, in Il Sole 24 ore, 18 ottobre 2022.

[2] Sul tema, oltre alle opere citate nelle note successive, v. anche L. Lovecchio, L’introduzione dell’IMU sperimentale, in AA.VV., Manuale dei tributi locali, Santarcangelo di Romagna, 2014, 105 ss.; E. Degani, Esenzione Ici “prima casa” anche nell’ipotesi di residenze diverse del nucleo familiare, in Fisco, 2017, 3488; S. Loconte, Residenze coniugali “scisse” in Comuni diversi: esenzione IMU per un solo immobile, in Il fisco, 2022, 1443 ss.

[3] Il giudizio di legittimità è stato promosso originariamente dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli con ordinanza n. 3 del 22 novembre 2021, con cui è stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata questioni di legittimità costituzionale della disposizione, “nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta per l’abitazione adibita ad abitazione principale del nucleo familiare nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune, per violazione degli artt. 3 e 53, anche in relazione agli artt. 1, 29, 31, 35 e 47 Cost.”. Nel corso del giudizio, la Corte ha sollevato (con l’ordinanza Corte cost. 23 marzo 2022, n. 94) innanzi a sé questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011 – in riferimento agli artt. 3, 31 e 53, comma 1, Cost. – “nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare”. Come rilevato dalla Consulta nella sentenza in commento, la risoluzione della questione sollevata dalla Corte si presenta come “logicamente pregiudiziale e preliminare” per definire le questioni poste dal giudice regionale campano. L’ordinanza di autorimessione è commentata da L. Lovecchio, Esenzione IMU dell’abitazione principale ai coniugi con residenze in Comuni diversi: possibili scenari della prossima soluzione, in Il fisco, 2022, 1933 ss.; L.R. Corrado, Verso l’illegittimità costituzionale dell’esenzione IMU per l’abitazione principale, in Riv. giur. trib., 2022, 483 ss.; F. Campodonico, Mancata esenzione IMU [imposta municipale unica] per l’abitazione principale dei coniugi in caso di altra residenza extracomunale: la Consulta sceglie la via dell’autorimessione, in Dir. prat. trib., 2022, 1455 ss. Si deve altresì dar conto che anche la Commissione Tributaria Regionale per la Liguria aveva promosso il giudizio di legittimità costituzionale dell’ordinanza n. 106 del 23 settembre 2020 con riferimento, tra l’altro, all’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011 “nella parte in cui non escludono la riduzione/esenzione dall’IMU per i coniugi con residenza anagrafica e dimora abituale in immobili situati in diversi territori comunali”. La Corte, con ordinanza Corte cost. 28 aprile 2022, n. 107 ha tuttavia dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionali poste dal giudice regionale ligure.

[4] Ai sensi dell’art. 1, comma 740, L. n. 160/2019, “il presupposto dell’imposta è il possesso di immobili. Il possesso dell’abitazione principale o assimilata, come definita alle lettere b) e c) del comma 741, non costituisce presupposto dell’imposta, salvo che si tratti di un’unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 o A/9”. Disposizione analoga era contenuta nel previgente art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011.

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[5] Art. 13, comma 2, quarto periodo, D.L. n. 201/2011 e successivamente art. 1, comma 741, lett. b), primo capoverso, L. n. 160/2019.

[6] Art. 13, comma 2, quinto periodo, D.L. n. 201/2011 e successivamente art. 1, comma 741, lett. b), secondo capoverso, L. n. 160/2019. Come notato dalla pronuncia in commento, il riferimento al nucleo familiare non compariva nella originaria disciplina dell’IMU essendo stato introdotto solo con l’art. 4, comma 5, lett. a), D.L. n. 16/2012 che ha modificato la definizione di abitazione principale. Opzione legislativa che è stata confermata sia dalla L. n. 147/2013 e dall’art. 1, comma 741, lett. b), L. n. 160/2019.

[7] Circ. n. 3/DF del 18 maggio 2012: “lo scopo di tale norma è quello di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale, e, quindi, la norma deve essere interpretata in senso restrittivo, soprattutto per impedire che, nel caso in cui i coniugi stabiliscano la residenza in due immobili diversi nello stesso comune, ognuno di loro possa usufruire delle agevolazioni dettate per l’abitazione principale e per le relative pertinenze. Se, ad esempio, nell’immobile in comproprietà fra i coniugi, destinato all’abitazione principale, risiede e dimora solo uno dei coniugi – non legalmente separati – poiché l’altro risiede e dimora in un diverso immobile, situato nello stesso comune, l’agevolazione non viene totalmente persa, ma spetta solo ad uno dei due coniugi. Nell’ipotesi in cui sia un figlio a dimorare e risiedere anagraficamente in altro immobile ubicato nello stesso comune, e, quindi, costituisce un nuovo nucleo familiare, il genitore perde solo l’eventuale maggiorazione della detrazione”.

[8] Secondo la circolare citata, “il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in Comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in altro comune per esigenze, per esempio, lavorative o per scelte di vita insite nella coppia o nucleo.” Il riferimento alle “esigenze” sembrerebbe aprire la strada alla possibilità di valutare, caso per caso, la ricorrenza delle stesse (sul punto, P. Piciocchi – C. Gambino, L’imposta comunale sugli immobili e la nuova imposta municipale propria, in Dir. prat. trib., 2014, II, 1184).

[9] G. Marini, Sull’illegittimità della tassazione ai fini IMU dell’abitazione principale dei coniugi residenti in Comuni diversi (postilla), in Riv. trim. dir. trib., 2021, 3, 724 ss.; A. Turchi, La famiglia nell’ordinamento tributario, Torino, 2015, 124 ss.; N. Treglia, L’esenzione IMU per l’abitazione principale dei coniugi residenti in Comuni diversi: problematiche interpretative e spunti di riflessione, in Riv. trim. dir. trib., 2021, III, 711 ss.; T. Tassani, La esenzione IMU per l’abitazione principale al vaglio della Corte Costituzionale, in Fiscalità Patrimoniale, www.fiscalitapatrimoniale.info, 20 marzo 2022; F. Farri, Esenzione IMU per abitazione principale e coniugi residenti in comuni diversi: la Corte di cassazione dimentica il testo normativo e i principi costituzionali, in Riv. tel. dir. trib., 22 ottobre 2020; G. Mercuri, Sui nuovi sviluppi giurisprudenziali in tema di esenzione IMU relativa all’abitazione principale, in Riv. tel. dir. trib.

[10] Da quel che risulta, le diverse pronunce hanno riguardato casi in cui i due coniugi avevano residenze disgiunte in diversi immobili posseduti, non invece di altri componenti del nucleo familiare.

[11] Cass. Civ. 19 febbraio 2020, n. 4166 e Cass. Civ. 19 febbraio 2020, n. 4170; Cass. Civ. 17 giugno 2021, n. 17408; Cass. Civ. 17 gennaio 2022, n. 1199; Cass. Civ. 7 giugno 2019, n. 15439; Cass. Civ. 10 ottobre 2022, n. 29488.

[12] Come correttamente nota G. Corasaniti, op. cit., 41, qualora vi sia la prova della frattura del rapporto di convivenza verrebbe meno, nel pensiero dei giudici, “l’unicità del nucleo familiare, nonché il superamento della presunta coincidenza tra casa coniugale ed abitazione principale”. Sul tema, in relazione alla disciplina ICI previgente, che conteneva analogo collegamento tra nucleo familiare ed abitazione principale (art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992), si rinvia a G. Glendi, Agevolazione ICI/IMU per abitazione principale e separazione di fatto dei coniugi, in Corr. trib., 2018, 2850 ss.; G. Salanitro, Agevolazione per l’abitazione principale nella disciplina dell’ICI e dell’IMU e nucleo famigliare, tra separazione di fatto, nullità del matrimonio, residenza della famiglia e convivenze, in Riv. giur. trib., 2021, 127 ss.

[13] Cass. Civ. 17 giugno 2021, n. 17408, in cui la Corte espressamente afferma di voler ricercare una soluzione “costituzionalmente orientata perché, diversamente opinando, si realizzerebbe una frattura evidente dei principi costituzionali, sotto il profilo dell’uguaglianza e della capacità contributiva”.

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[14] Cass. Civ. 17 giugno 2021, n. 17408.

[15] Sul tema, M. Greggi, Abitazione principale e requisito di residenza a confronto nella disciplina tributaria di agevolazione del nucleo famigliare, in questa Rivista, 2010, III, 241 ss.

[16] Sugli aspetti probatori, N. Treglia, Ancora in tema di esenzione IMU per l’abitazione principale dei coniugi residenti in comuni diversi: una questione ancora aperta?, in Riv. trim. dir. trib., 2022, I, 127 ss.

[17] Di modifica dell’art. 1, comma 741, L. n. 160/2019 ed in vigore dal 1° gennaio 2022.

[18] L. Lovecchio, op. ult. cit., 4133 nota come la pronuncia della Corte abbia “trascurato la normativa ICI che pure condizionava i benefici per l’abitazione principale alla dimora dell’intero nucleo familiare. Si tratta comunque di dimenticanza trascurabile, cui si potrà rimediare in via interpretativa oppure riproponendo una nuova questione di legittimità costituzionale”.

[19] La Consulta distingue parla di agevolazioni “strutturali” e non strutturali, facendo riferimento alla distinzione, condivisa in dottrina, tra norme di esclusione e norme di esenzione. Per questa distinzione, sia consentito rinviare a A. Carinci – T. Tassani, Manuale di diritto tributario, Torino, 2022, 11.

[20] Cfr. G. Corasaniti, op. cit., nt. 18 e testo corrispondente; L. Lovecchio, Esenzione IMU, cit., 4132.

[21] Come invece prospettato nella ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, in relazione alla quale le questioni di illegittimità costituzionale sollevate sono infine dichiarate inammissibili dalla sentenza in commento.

[22] Sul tema, per tutti, A. Fedele, Imposte reali ed imposte personali nel sistema tributario italiano, in Riv. dir. trib., 2002, 451 ss.

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[23] Anche nel presente contributo, dunque, si deve intendere che ogni riferimento fatto al coniuge valga anche per il componente dell’unione civile, e viceversa.

[24] Il tema non può essere approfondito in questa sede. Si rinvia dunque a V. Mastroiacovo, Considerazioni a margine della legge sulle unioni civili: il concorso alle pubbliche spese nella prospettiva dell’effettiva attuazione dei diritti, in Riv. dir. trib., 2016, 4, I, 516; A. Turchi, Unioni civili, convivenze more uxorio e famiglie di fatto: quale statuto fiscale?, in Riv. tel. dir. trib., 6 novembre 2022; A. Bulgarelli – T. Tassani, Separazione e scioglimento del matrimonio e dell’unione civile: profili fiscali, in AA.VV., Le tutele legali nelle crisi di famiglia, a cura di M.A. Lupoi, Rimini, 2018, I, 289; A. Mondini, L’equiparazione tra coniuge e parte dell’unione civile in materia fiscale, in A. Albanese (a cura di), Le nuove famiglie, Pisa, 2019, 402 ss.

[25] Si pensi al caso di una coppia di fatto e con un figlio maggiorenne, ognuno residente in [e possessore di] un immobile diverso: in questo caso, nel contesto normativo vagliato dalla Consulta, si potrebbero applicare tre esenzioni per abitazione principale.

[26] Posto che abbia ancora un senso parlare di “famiglia tradizionale”, in una società “liquida” (Z. Bauman) come la nostra.

[27] Il problema dell’incapacità del sistema fiscale a sostenere la famiglia è più ampio e merita ulteriori approfondimenti. La Consulta, nella pronuncia in commento, riserva un monito al legislatore osservando che il “sistema fiscale italiano si dimostra avaro nel sostegno alle famiglie. E ciò nonostante la generosità con cui la Costituzione italiana ne riconosce il valore, come leva in grado di accompagnare lo sviluppo sociale, economico e civile, dedicando be tre disposizioni a tutela della famiglia, con un’attenzione che raramente si ritrova in altri ordinamenti”. Sul tema, in generale, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, si rinvia a C. Sacchetto, La tassazione della famiglia: il modello italiano, in C. Sacchetto (a cura di), La tassazione della famiglia: aspetti nazionali e comparati, Soveria Mannelli, 2010, 91 ss.; A. Turchi, Diritto tributario di famiglia, Torino, 2022, passim; F. Farri, Un fisco sostenibile per la famiglia in Italia, Milano, 2018, passim.

[28] La Consulta precisa che la sentenza non produce nemmeno indirettamente l’effetto di estendere l’agevolazione alle c.d. seconde case delle coppie unite in matrimonio o in unione civile: in tali situazioni, i comuni possono (rectius, debbono) negare una seconda agevolazione, limitandola al solo immobile che rappresenta (al di là del dato della residenza formale) la “dimora abituale (e quindi principale)” di entrambi i soggetti.

[29] Le decisioni manipolative possono essere additive o sostitutive. Sul tema, anche per ulteriori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, E. Rossi, Giudizio di legittimità costituzionale, in Enc. dir., agg., Milano, 2001, V, 531 ss.

[30] Nonché l’analoga disposizione contenuta nell’art. 1, comma 741, lett. b), L. n. 169/2019 (c.d. “nuova IMU”).

[31] A giudizio della Corte, la necessità della residenza disgiunta nel medesimo Comune si presenta come del tutto eccezionale ma non da escludere a priori, date le grandi dimensioni di alcuni Comuni e la complessità delle situazioni di vita. Peraltro, “mantenere in vita la norma determinerebbe un accesso al beneficio del tutto casuale, in ipotesi favorendo i nuclei familiari che magari per poche decine di metri hanno stabilito una residenza al di fuori del confine comunale e discriminando quelli che invece l’hanno stabilita all’interno dello stesso”.

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[32] Non sono dunque più sussistenti nemmeno gli obblighi dichiarativi imposti dalla disposizione, che richiedevano ai coniugi di indicare l’immobile oggetto di esenzione.

[33] Diverso sembra essere il pensiero di G. Corasaniti, op. cit., 44, secondo cui “alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza in commento … non sembra peregrino prevedere che nell’immediato futuro il legislatore tributario possa decidere di intervenire sull’ambito applicativo della fattispecie in esame, di modo da rendere la stessa più coerente rispetto alle previsioni costituzionali di riferimento”. Per una prima applicazione, Cass. Civ. 3 novembre 2022, n. 32339 che ha cassato la sentenza impugnata (favorevole al Comune) e deciso la causa nel merito accogliendo l’originario ricorso del contribuente. Si segnalano anche Cass. Civ. 13 gennaio 2023, n. 826 e Cass. Civ. 16 gennaio 2023, n. 990, in cui i principi statuiti dalla Consulta non sono stati ritenuti rilevanti, trattandosi della ipotesi “normale” [sic], in cui era in discussione il “requisito della residenza anagrafica del possessore e del nucleo familiare nell’immobile oggetto del beneficio fiscale”.

[34] Non riteniamo condivisibile, quindi, la ricostruzione di L. Lovecchio, Esenzione IMU, cit., 4133, che parla di “fattispecie di aggiramento della norma” da verificare “caso per caso”. L’aggiramento evoca l’elusione, mentre la mancata corrispondenza tra residenza anagrafica e dimora abituale manifesta una ipotesi di carattere evasivo, come già detto.

[35] Come invece fatto, seppur in una fattispecie differente, dalla sentenza Corte cost. n. 10/2015, che ha escluso la retroattività della pronuncia di incostituzionalità del tributo (c.d. Robin Hood Tax) in considerazione della grave alterazione dell’equilibrio di bilancio che ne sarebbe derivata (art. 81 Cost.). Sul tema, A. Carinci – T. Tassani, Manuale di diritto tributario, cit., 83-84.

[36] L. Lovecchio, op. ult. cit., 4134, ritiene che, nei contenziosi in corso, i Comuni possano chiedere al giudice termini per poter effettuare le verifiche del caso al fine di accertare (per es. in base ai consumi dell’immobile) la sussistenza della dimora abituale. Non si condivide tale affermazione, almeno in tutti quei casi (che sono la normalità degli accertamenti in essere) in cui il Comune abbia motivato l’avviso di accertamento sulla mera circostanza della residenza disgiunta, in applicazione dell’orientamento di legittimità. In queste ipotesi, il Comune non può cambiare o integrare la motivazione sui fatti a fondamento del provvedimento impugnato nel corso del giudizio, dato che la pretesa così come cristallizzata nell’atto impositivo non può essere mutata. Sulla illegittimità dell’integrazione e della modificazione della motivazione nel corso del giudizio, così come della deduzione di nuovi fatti costitutivi della pretesa impositiva negli atti difensivi dell’amministrazione finanziaria, si vedano, per tutti, F. Pistolesi, Il processo tributario, Torino, 2021, 98-99; G. Melis, Manuale di diritto tributario, 2022, 571-2.

[37] Secondo la giurisprudenza, anche qualora il carattere indebito del pagamento sia originario, il dies a quo del termine decadenziale va individuato nella data del versamento. Per riferimenti, si rinvia A. Carinci – T. Tassani, Manuale di diritto tributario, cit., 466.

[38] Cfr. G. Corasaniti, op. cit., 44.

[39] Altra strada percorribile, sussistendone i presupposti, è quella della compensazione con successivi versamenti IMU, nell’ipotesi di ulteriori immobili posseduti. Sul punto, L. Lovecchio, op. cit., 4134.

[40] Cfr. L. Lovecchio, op. cit., 4134.

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Tratto da Diritto e Famiglia n. 3/2023



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