PAVIA. Era il 1857: Luigi De Bernardi, imprenditore pavese con una grande passione per la sua città e gli oggetti di belle arti, decise di aprire una nuova attività, la cartolibreria De Bernardi Grafica. Da allora è passato più di un secolo e mezzo. Il negozio De Bernardi, che tuttora si trova negli stessi locali della sede originaria, a metà di Strada Nuova, compie 160 anni. Per festeggiare l’anniversario, l’odierno proprietario Emilio Belloni inaugura oggi una mostra in vetrina che racconta la storia della bottega.
«Questo è il negozio più vecchio di Pavia – spiega Belloni – soltanto un paio di farmacie lo battono per età. È aperto da così tanto tempo che ormai è riconosciuto come un’istituzione, un pilastro saldo del centro urbano, che in un certo senso rassicura pure chi non ne ha mai varcato la soglia. Credo sia importante esporre parte dei materiali che danno testimonianza del suo lunghissimo passato: De Bernardi Grafica è una parte da non dimenticare del patrimonio culturale di Pavia». In vetrina, da oggi e per una settimana, si trova l’atto di fondazione della ditta; ci sono cinque cartoline originali della Pavia ottocentesca, tra cui la prima cartolina illustrata della città, che ritrae il castello Visconteo, edita nel 1897 proprio da De Bernardi; carte intestate e vecchie fatture, dal 1878 al 1911; locandine di mostre nel corso degli anni.
« De Bernardi durante la sua attività – chiarisce Belloni – si occupò soprattutto del commercio di cartoline, libri contemporanei e stampe. Tuttavia, all’inizio degli anni Cinquanta, si scontrò con una crisi economica. Fu mio padre, Carlo Belloni, che rilevò l’impresa nel 1952 e le donò rinnovato vigore. Diede attenzione sempre crescente alle opere di grafica, di autori che andavano dal XV al XX secolo, alle stampe riguardanti la città di Pavia; abbandonò completamente la sezione di cartoleria e pian piano anche quella dei libri dell’epoca, optando per quelli antichi e rari». Aggiunge il proprietario: «Carlo Belloni era innamorato dell’arte grafica e fu una personalità fondamentale per la trasmissione di quest’amore ai pavesi. A partire dagli anni Sessanta, cominciò ad organizzare numerose mostre di acqueforti e stampe: di Marc Chagall, Pablo Picasso, Salvador Dalì e Joan Mirò; di Rembrandt, Luca de Leida e Albrecht Dürer; di pittori pavesi come Enzo Zanotto e Sandro Riboni. Sapeva valorizzare la cultura figurativa sia locale sia internazionale. Io, dopo la morte di mio padre, ho cercato di dare un proseguimento al suo impegno. È da trent’anni che lavoro qua e tra le ultime esposizioni che ho allestito c’è stata quella, nel 2017, dedicata alla grafica giapponese, presentando autori del calibro di Hiroshige, Hokusai, Kunisada e Utamaro».
Ma alla De Bernardi Grafica oggi si trova anche una libreria assai fornita di volumi antichi, editi dal Cinquecento fino all’inizio del Novecento. In negozio si presentano bibbie ed enciclopedie; c’è la “Historia” di Antonio Maria Spelta del 1597, “Memorie istoriche di Pavia e suo territorio antico e moderno” di Siro Severino Capsoni, il “ De infestis ob molestantes” risalente al 1598 e di autore ignoto, che illustra ai lettori come praticare esorcismi contro i demoni; un’edizione del 1552 del Decameron di Boccaccio, la princeps dell’Orlando Furioso di Ariosto, pubblicata nel 1516; “La piazza universale di tutte le professioni del mondo” di Tomaso Garzone, del 1616. «Quest’ultimo testo è particolarmente interessante – commenta Emilio Belloni – Elenca i mestieri esistenti al mondo nel Seicento. Se ne leggono davvero di assurdi e divertenti, tanto che io spesso mi ritrovo a sfogliarlo per curiosità. Ad esempio, la cosa che mi ha più colpito è stata scoprire che, quattro secoli fa, c’erano persone che venivano pagate per parlare male e spettegolare di altre persone. Nel 1616 avere la lingua tagliente poteva diventare una professione in piena regola. Ecco, scoprire una stranezza del genere direttamente sfogliando pagine seicentesche fa molta impressione: ti senti più vicino al genio dell’autore e alla sua mentalità; diventi partecipe di dettagli di cui la storia ufficiale non conserva più memoria». Ancora, in negozio sono appesi alle pareti opere da collezione: una pergamena con il “Trionfo di Bacco” di Piero Aquila, un quadretto con il “San Giorgio che uccide il drago” di Durer, la pianta di Pavia di Ottavio Ballada, un’acquaforte del collegio Borromeo del 1740, edita da Remondini di Venezia. I libri in tutto sono circa tremila, presi alle aste, acquistati online o da privati. Ciascuno di loro richiede una grande attenzione: essendo così antichi e di valore, necessitano di essere maneggiati con cura, spolverati assiduamente e lubrificati, a volte restaurati. «Non ci sono numerosi collezionisti a Pavia – ammette Emilio Belloni – I clienti cercano soprattutto grafica antica, stampe della città e oggettistica decorativa. La vendita dei libri è scesa nell’ultimo decennio. Il problema è che la gente non è più abituata a leggere e ad inquisire i testi per ottenere conoscenza. L’abbiamo capito tutti: il sapere oggi passa per internet, meglio ancora se attraverso lo smartphone. Quindi a che servono i libri, che sono di difficile comprensione e lenti da decifrare? La maggior parte della clientela mi chiede volumi con copertine artistiche, meglio se in cuoio e con decorazioni, da usare come mobilia e per fare bella figura con gli ospiti. A pochi interessa ancora il contenuto dei testi. E non sto insinuando che sia una cosa positiva o negativa, ma semplicemente che, rispetto a 160 anni fa, quando Luigi De Bernardi aveva iniziato a lavorare, i tempi sono davvero cambiati». Come vede il futuro dell’attività? «Non lo so – risponde – Io sto dando il massimo per rendere onore a questo negozio storico. Mi sto adattando alle correnti commerciali, alle vendite vie web, e sto combattendo per comunicare la passione per la “cultura antiquaria” al maggior numero di individui possibile. Certo è che non ho figli e tra qualche anno andrò in pensione. Mi godo adesso tutti e 160 gli anni di De Bernardi Grafica e voglio che i pavesi li godano con me. Se ce ne saranno altri 160 non spetta a me dirlo». Gaia Curci