Separazione: la guida completa sull’assegno di mantenimento, spiegato in termini semplici. Differenze, finalità e criteri di assegnazione in caso di separazione.
Ti sei mai chiesto che cos’è l’assegno di mantenimento? Come funziona in caso di separazione? Quali sono i presupposti per ottenerlo e come si calcola? In questo articolo ti guideremo attraverso ogni aspetto pratico dell’assegno di mantenimento, rispondendo alle tue domande e fornendo esempi pratici.
Cos’è esattamente l’assegno di mantenimento?
L’assegno di mantenimento è un sostegno che, all’esito della separazione, viene erogato dal coniuge economicamente più forte a quello più debole.
Con il divorzio, l’assegno di mantenimento viene sostituito dall’assegno divorzile. Tra i due sussistono, come vedremo a breve, differenze in merito alla funzione e alla quantificazione.
L’assegno di mantenimento rappresenta la continuità degli obblighi di sostegno reciproco che nascono dal matrimonio e che proseguono anche dopo la separazione. E difatti solo il divorzio cancella definitivamente il matrimonio.
Qual è lo scopo del mantenimento?
Scopo principale dell’assegno di mantenimento è garantire un sostegno economico al coniuge che non possiede adeguati redditi, permettendogli di mantenere, per quanto possibile, un tenore di vita similea quello avuto durante il matrimonio.
Ad esempio, se durante il matrimonio uno dei coniugi non lavorava e dipendeva economicamente dall’altro, dopo la separazione, potrebbe avere diritto a un assegno di mantenimento.
L’assegno di mantenimento non deve invece ricompensare il coniuge dei sacrifici fatti nel corso della convivenza (funzione compensativa) né ha la funzione di risarcire il coniuge delle conseguenze negative della cessazione della convivenza (
funzione risarcitoria).
Qual è la differenza tra assegno di mantenimento e assegno alimentare?
Mentre l’assegno di mantenimento è rivolto a garantire al beneficiario lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, l’assegno di divorzio invece mira ad assicurargli soltanto l’autosufficienza economica ossia le spese necessarie a mantenere uno stile di vita decoroso in relazione al contesto ambientale e sociale.
Dunque, se l’assegno di mantenimento è proporzionato alle capacità economiche del coniuge più benestante, e pertanto cresce al crescere del reddito di quest’ultimo, l’assegno di divorzio invece, pur tenendo conto delle possibilità economiche del coniuge obbligato, ha un limite oltre il quale non può andare: garantire al beneficiario di potersi mantenere da solo. Ne deriva che se quest’ultimo è già autonomo ma non ricco (si pensi a una insegnante che abbia sposato un ricco industriale), nulla gli è dovuto a titolo di assegno divorzile.
Lucia, dopo la separazione, ha un reddito mensile di 1.500 euro, ma durante il matrimonio il tenore di vita della coppia era molto più alto grazie ai guadagni del marito, ricco imprenditore. Lucia può richiedere un assegno di mantenimento per coprire la differenza. Invece, con il divorzio, Lucia non avrà più diritto a nulla, atteso che 1.500 euro sono sufficienti per garantire l’autosufficienza economica a una persona single.
Come viene stabilito l’assegno di mantenimento nella separazione consensuale?
In caso di separazione consensuale, i coniugi raggiungono un accordo sui vari aspetti della separazione, incluso l’assegno di mantenimento. Tuttavia, questo accordo diventa effettivo solo dopo una verifica giudiziaria. È il giudice che si assicura che l’accordo sia equo e rispecchi la situazione economica dei coniugi.
Marco e Carla decidono di separarsi e concordano un assegno di mantenimento di 500 euro al mese. Tuttavia, il giudice potrebbe chiedere una documentazione economica per verificare che l’importo concordato sia equo.
E nella separazione giudiziale?
Nella separazione giudiziale, non c’è un accordo tra i coniugi. È il giudice a determinare l’assegno di mantenimento in base ai redditi, alle circostanze e ai bisogni di entrambi i coniugi. In tal caso, un coniuge può richiedere l’assegno se:
- non ha subìto l’addebito per la separazione;
- non ha redditi sufficienti per mantenere il tenore di vita avuto durante il matrimonio.
Il coniuge che lo richiede ha l’onere di provare queste condizioni, dimostrando anche la capacità economica dell’altro coniuge.
Il giudice quantifica l’assegno di mantenimento tenendo conto di una serie di variabili come:
- l’età del richiedente e la sua capacità reddituale ossia a trovare un nuovo lavoro o comunque a svolgere un’attività di lavoro autonomo, professionale, ecc.;
- la durata del matrimonio;
- le spese che sostiene il coniuge obbligato (mutui, affitto, ecc.);
- l’assegnazione della casa coniugale al coniuge beneficiario;
- sussistenza di redditi di ogni tipo, considerando ad esempio i risparmi, i conti correnti e i dossier titoli, le polizze assicurative immediatamente liquidabili, le azioni e gli investimenti di capitali nonché i crediti;
- utilità derivanti dai beni immobili di proprietà, anche se improduttivi di reddito.
Cos’è l’addebito
Il primo presupposto per ottenere il mantenimento è il fatto di non aver subìto l’addebito, il che può avvenire solo in caso di separazione giudiziale. Si verifica quando il giudice, su richiesta e dimostrazione di uno dei due coniugi, addossa la responsabilità per la crisi coniugale all’altro. È necessaria la prova che questi abbia violato i doveri del matrimonio: fedeltà, convivenza, rispetto reciproco, contribuzione.
L’addebito implica la perdita del diritto al mantenimento e dei diritti di successione.
Cosa si intende con disparità di reddito?
Il secondo presupposto per il riconoscimento del mantenimento è la disparità economica. Uno dei coniugi ha diritto all’assegno di mantenimento se è privo di “adeguati redditi propri” (art. 156 c. 1 cod. civ.). Dal concetto di “adeguatezza” si desume che deve esserci uno squilibrio o un’evidente disparità reddituale con l’altro coniuge, ma non che debba sussistere uno stato di bisogno.
Ciò impone innanzitutto un confronto tra le condizioni economiche dei coniugi per verificare se esiste una disparità tra i due. Nel valutare ciò il giudice non deve basarsi solo sulle dichiarazioni dei redditi, potendo rilevare l’effettivo tenore di vita anche attraverso una ricostruzione analitica delle spese sostenute dal coniuge e quindi del suo effettivo tenore di vita. Insomma il giudice che sospetti l’infedeltà delle dichiarazioni fiscali può ritenere che la ricchezza di un coniuge sia superiore a quella dichiarata valutando ad esempio la dimensione dell’appartamento in cui vive, le utenze, l’auto, i viaggi, gli hobby, ecc. In caso di incertezze, il tribunale può delegare indagini mirate tramite la Finanza.
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