Giulia Panizza aveva cinque mesi di vita quando le è stato diagnosticato un neuroblastoma, il tumore solido più comune nella prima infanzia: si sviluppa da cellule nervose immature e, nelle forme più aggressive, si associa a una sopravvivenza del 35%. Oggi Giulia ha 42 anni, lavora, si è sposata e ha avuto un figlio. Lei è tra coloro che beneficeranno della futura legge sull’oblio oncologico (approvata dalla Camera all’unanimità , dovrà ora passare all’esame del Senato), che prevede — dopo dieci anni dall’ultima manifestazione di malattia o dall’ultimo trattamento — il pieno riconoscimento dei diritti di coloro che sono a tutti gli effetti «guariti». «Quando mi sono ammalata, nel 1981, la prospettiva della guarigione quasi non esisteva, addirittura non veniva nominata la parola “tumore” — racconta Giulia, che è consigliere della Federazione associazioni genitori e guariti oncoematologia pediatrica (Fiagop) onlus —. Il mondo non era preparato al fatto che io potessi sopravvivere al cancro. Ho proseguito i trattamenti fino ai due anni di età , ma poi ho dovuto fare i conti con problemi fisici (di postura e deambulazione) che sono stati conseguenza delle cure e dei vari interventi chirurgici. Nonostante questo né io né la mia famiglia facevamo cenno al tumore, a meno di un’effettiva necessità . Semplicemente non se parlava. Oggi una legge dello Stato (spero che presto sarà tale) ci considera “guariti”: è un cambiamento totale di paradigma rispetto a ciò che avveniva quando ero bambina».
«Sono nato dopo mio figlio»
Obiettivo del disegno di legge è «escludere qualsiasi forma di pregiudizio o disparità di trattamento» nei confronti delle «persone guarite da patologie oncologiche», per quanto riguarda «i contratti bancari, finanziari e assicurativi stipulati dopo la data di entrata in vigore della presente legge, i procedimenti in corso per l’adozione nazionale e internazionale, nonché i concorsi». «Non è ammessa — si legge — la richiesta di informazioni relative allo stato di salute della persona fisica contraente concernenti patologie oncologiche da cui la stessa sia stata precedentemente affetta e il cui trattamento attivo si sia concluso, senza episodi di recidiva, da più di dieci anni alla data della richiesta. Tale periodo è ridotto della metà (5 anni, ndr) nel caso in cui la patologia sia insorta prima del compimento del ventunesimo anno di età ». Marco Dell’Acqua ha 57 anni. Quando ne aveva 38, ed era sposato da un anno, la diagnosi di mieloma ha sconvolto la sua esistenza e quella di sua moglie Ida. «I medici mi hanno detto che se volevamo un figlio c’erano due opzioni: concepirlo subito, prima che io iniziassi le terapie, oppure congelare lo sperma. Inoltre mi hanno fatto capire che dovevo preparami all’eventualità di non vederlo crescere». Le cose sono andate diversamente e Marco le ha raccontate nel libro «Sono nato dopo mio figlio». «Ida è rimasta subito incinta e due anni dopo la diagnosi è stato trovato un donatore per il trapianto di midollo osseo, che mi ha salvato la vita. Allora mio figlio aveva 6 mesi, adesso ha 18 anni». Oggi il mieloma non si cura più con trapianto da donatore (un intervento ad alto rischio), ma con un autotrapianto, seguito da una terapia di mantenimento basata su nuovi farmaci.
Pubblicazione di esami in Rete
Marco però, al contrario di Giulia, non è «guarito». «Per il mieloma (un tumore del sangue che recentemente ha colpito anche il musicista Giovanni Allevi) non esiste una data «ufficiale» di guarigione. Infatti Marco, nonostante siano passati 17 anni dal trapianto di midollo, si sottopone costantemente a controlli, anche se sta bene. «Una persona clinicamente guarita deve avere gli stessi diritti del resto della popolazione — afferma, commentando il disegno di legge approvato dalla Camera —. C’è però anche un problema “culturale”. Alcuni pazienti, che magari non ricevono risposte abbastanza esaurienti (o tranquillizzanti) da parte dei medici, postano i propri esami in vari gruppi su internet chiedendo pareri a persone che hanno la stessa patologia. In questo modo il diritto all’oblio viene “boicottato” dagli stessi malati, perché chiunque può fare una ricerca in Rete e trovare informazioni sulla loro salute presente o passata. Medici e associazioni di pazienti dovrebbero affermare con forza che questo atteggiamento è sbagliato».
Il lavoro e il senso di fragilitÃ
Marco non ha avuto grossi problemi con il lavoro. «Vivevo e vivo tuttora a Milano e quindi, mentre mi curavo all’Istituto Tumori sotto la guida di Vittorio Montefusco (oggi primario di Ematologia all’Ospedale San Carlo), uno dei massimi esperti di mieloma, potevo lavorare tra un ricovero e l’altro. Altri pazienti sono meno fortunati e devono cambiare città per seguire le terapie, rischiando così di esaurire i giorni di malattia e dover chiedere un’aspettativa non retribuita. Oltre a pagare magari un affitto». Oltre agli aspetti professionale e finanziario, i cosiddetti «lungosopravviventi» devono fare i conti con quello psicologico. «Il tumore ti lascia, anche a distanza di tempo, un senso di fragilità , di insicurezza — spiega Ida, moglie di Marco —, dovuto al fatto che hai investito tutte le tue energie e risorse nella lotta per sconfiggere la malattia. Gli ex pazienti devono convivere con la fatigue, una profonda e costante stanchezza». «Il sostegno psicologico è importantissimo per tutti i pazienti e gli ex pazienti — aggiunge Marco —, soprattutto quelli che non hanno strumenti culturali o che, per vari motivi, non riescono ad avere un dialogo anche “umano” con il proprio medico».
Ci può essere comunque un «dopo»
Per Giulia la «lungosopravvivenza» (iniziata subito dopo la nascita) è fatta di controlli (all’Ospedale Gaslini di Genova, dove è stata curata da bambina), ma anche di problemi fisici: «Sono guarita dalla malattia oncologica, ma sono rimasti dei disturbi di movimento per cui dovrò proseguire la fisioterapia a vita. L’importante è sapere che da un tumore si può uscire, ci può essere comunque un “dopo”, seppure con qualche limitazione. Ecco perché il disegno di legge sull’oblio oncologico è cruciale. Per esempio io e mio marito abbiamo aperto un mutuo, ma io da sola non avrei potuto farlo. E mi è stata negata un’assicurazione sulla vita perché tra i parametri richiesti c’era quello di non avere mai avuto un tumore. Inoltre avrei avuto grosse difficoltà ad adottare o prendere in affidamento un bambino: per fortuna, nonostante le cure che possono causare infertilità , sono rimasta incinta naturalmente. Ma il mondo sta cambiando. Lo dimostrano per esempio gli atleti paralimpici: tutti sappiamo che, anche con una disabilità , si possono fare cose incredibili. Una persona che ha avuto un tumore ha attraversato l’inferno: in inglese si parla di survivor, sopravvissuti (come se il tumore fosse una battaglia), mentre in italiano la parola “lungosopravviventi” è davvero brutta, andrebbe cambiata. Io per esempio dei miei primi due anni di vita ricordo i suoni dei macchinari e alcuni odori tipici dell’ospedale: risentirli oggi mi dà un senso di malessere».
Mutui e finanziamenti negati
Elisabetta Iannelli è avvocato, segretario generale della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) e vicepresidente di Aimac (Associazione italiana malati di cancro, parenti e amici). Se il disegno di legge sull’oblio oncologico è arrivato in Parlamento è anche al lavoro di advocacy svolto negli anni con Favo, che porta la voce dei pazienti alle istituzioni. «Dopo una diagnosi oncologica una persona desidera riprogettare la sua vita, trovando molti ostacoli sul proprio cammino — sottolinea —. Adesso la guarigione viene riconosciuta da una legge, è quasi una rivoluzione. Io mi sono ammalata 30 anni fa, avevo un tumore metastatico al quarto stadio. Alcuni problemi li ho vissuti sulla mia pelle: ho potuto avere un’assicurazione sanitaria privata, ma solo accettando molte limitazioni. Dai rimborsi erano esclusi la patologia oncologica e tutto ciò che poteva essere collegato. Ma, per fare un esempio, le terapie anticancro sono spesso cardiotossiche: se avessi avuto un problema cardiaco l’assicurazione avrebbe potuto affermare che era legato alle cure per il tumore, anche se ciò non era dimostrato. Le assicurazioni dovrebbero per esempio prevedere per gli ex pazienti non ancora guariti premi più alti, finché esistono fattori di rischio maggiori rispetto alla popolazione sana, per poi abbassarli gradualmente man mano che la guarigione “ufficiale” si avvicina (leggi “Aspetti sociali della malattia oncologica: per un ex malato di cancro è possibile accedere alle assicurazioni sulla vita? Ma a quali condizioni?” del Rapporto dell’Osservatorio Favo). Una decina di anni fa il mutuo è stato concesso a mio marito, non a me (nonostante avessi fatto richiesta). Ma so di ex pazienti che si sono visti negare anche finanziamenti più limitati, per esempio per l’acquisto di un’auto».
Molti pazienti oncologici guariscono
Il primo effetto della legge (se sarà approvata dal Senato) si vedrà proprio sui moduli per la richiesta di mutui, finanziamenti, coperture assicurative. Se sono trascorsi dieci anni dalla fine dei trattamenti (cinque per chi ha avuto il tumore prima dei 21 anni), non vi sarà alcun obbligo di fare cenno alla trascorsa patologia oncologica. «Tuttora mi capita di vedere online moduli in cui è scritto che chi ha avuto un tumore non può fare richiesta, senza alcuna indicazione temporale. In futuro questo non sarà più possibile — chiarisce Iannelli —. Di ostacoli per accedere a mutui, finanziamenti, assicurazioni, adozioni e lavoro ho parlato per la prima volta nel 2002 in occasione di un convegno al Senato: dopo vent’anni di impegno, vedere che la Camera ha approvato all’unanimità il disegno di legge mi riempie di soddisfazione ed emozione. Chi è tornato ad avere un’aspettativa di vita pari a quella della popolazione sana non sarà più contrassegnato da una “lettera scarlatta”. Poi i decreti attuativi, che saranno redatti in collaborazione con le Reti associative delle organizzazioni di pazienti (Favo in primis), indicheranno in modo analitico tutti i casi in cui il termine dei dieci anni può essere ridotto. Faccio un esempio: il tumore del testicolo è tipico dell’età giovanile e solitamente ha una risoluzione rapida. Non servono dieci anni per definire un paziente “guarito”. Abbiamo lavorato molto in questi anni, insieme alle associazioni di pazienti, con un impegno che è stato sempre più “martellante”. Il primo dato sui guariti dal tumore è stato reso pubblico una decina di anni fa, dopo una esplicita richiesta di Favo ad Airtum (Associazione italiana registri tumori): prima si parlava solo di nuovi casi di tumore e decessi. Ebbene, dieci anni fa un malato di tumore su quattro giungeva alla guarigione. E i numeri sono in miglioramento, grazie alla scoperta di nuove terapie».
Tutela del lavoro e adozioni
I punti forti del disegno di legge sull’oblio oncologico sono — oltre a quanto attiene le richieste di mutui, finanziamenti e coperture assicurative — la tutela del lavoro e la possibilità di adottare un bambino. «Per quanto riguarda il lavoro, la futura legge italiana, grazie al prezioso lavoro del Parlamento e in particolare delle relatrici Marrocco e Boschi, fa addirittura un passo avanti rispetto alle normative europee già esistenti e la Commissione europea sta guardando con interesse a quanto avviene nel nostro Paese: sono tutelati l’ingresso nel lavoro e il mantenimento dello stesso, con politiche attive, non solo per i guariti ma per chiunque abbia avuto un tumore. Nel campo dell’adozione, il disegno di legge afferma che per gli ex pazienti oncologici guariti da almeno dieci anni non deve essere menzionata la malattia. Ma, attenzione: non esiste un divieto legislativo all’adozione per coloro che non sono ancora guariti, ovvero che vivono una condizione di cronicità in attesa della guarigione. Come accaduto finora, di fronte alla richiesta di adozione da parte di un paziente oncologico, sarà il Tribunale dei minori a valutare la situazione caso per caso. Il testo di legge approvato dalla Camera ha purtroppo alcuni punti deboli, che sono relativi ai controlli e alle sanzioni: non esiste un organo di controllo in caso di inosservanza del dettato legislativo e l’apparato sanzionatorio non è del tutto sufficiente. Questa legge sancisce comunque un passaggio fondamentale, prima di tutto culturale, sia per la persona che ha avuto un cancro sia per l’intera collettività . Dobbiamo sdoganare il fatto che dal cancro si può guarire, come dice da tempo la scienza. Alla guarigione clinica deve corrispondere quella “sociale”. Non siamo ancora arrivati alla meta, ma abbiamo preso la strada giusta».