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Il percorso verso l’approvazione della da parte del governo prosegue sia pur non poche difficoltà. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, come nelle migliori tradizioni della destra, ha anche finito con l’evocare un complotto che porterebbe alla sua sostituzione. Ha avuto modo di chiarire: «la sinistra continui a fare la lista dei ministri dell’esecutivo tecnico, noi intanto governiamo. Non vedo questo problema, ma la speranza da parte dei soliti noti. E mi fa sorridere». Anche noi sorridiamo, anche noi sappiamo che non ci crede, è solo un modo per spostare l’attenzione dalla sostanza dei problemi ed eventualmente dalle responsabilità. Un po’ come avviene con la questione migranti una volta è responsabilità dell’Europa che non difende i confini, un’altra è della Germania che paga le ONG o dei magistrati che rispediscono al mittente leggi che anche i ragazzini avrebbero definito inaccettabili.

Lo scorso 27 settembre è stata approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro  dell’Economia e delle Finanze  Giancarlo Giorgetti, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) del 2023 con le nuove previsioni per il triennio 2024-2026. Lo stesso documento mette sull’avviso che potrebbero esserci degli scenari diversi che peggiorerebbero i conti del bilancio statale e cioè un rallentamento del commercio mondiale, un ulteriore aumento dell’ero, un prezzo maggiore del petrolio e l’allargamento dello spread (il differenziale dei tassi di interesse tra i titoli italiani e quelli tedeschi). Se tutti questi scenari dovessero verificarsi la crescita del PIL si fermerebbe nel 2024 a +0,6% e i conti si aggraverebbero.
Il contesto di riferimento attuale è quello di «politica monetaria restrittiva basata sull’aumento dei tassi d’interesse e le conseguenze del conflitto russo- ucraino», come detto dallo stesso ministro Giorgetti.

Il linguaggio che sembra aver preso vigore è quello tecnico dell’austerità. Del resto ha detto che ci penserà lui a tagliare le spese dei ministeri che subiscono ancora le conseguenze post crisi del 2008 e temiamo che difficilmente risaliranno la china, se si eccettua quelli legati alla Difesa e alle politiche securitarie.
Forse anche per allentare questa narrazione di prudenza, moderazione o peggio austerità che il sta studiando un «decreto anticipi» da 3,2 miliardi per finanziare l’anticipo a fine anno del conguaglio delle pensioni rispetto all’inflazione, uno stanziamento per i rinnovi dei contratti nella Pubblica amministrazione e, per non arretrare nella battaglia contro i migranti, nuove risorse per la gestione dell’emergenza sbarchi.

Per l’anno in corso il mantra è che la responsabilità dell’aggravamento finanziario risiede in buona parte nel Superbonus e, sempre secondo il ministro, senza i bonus edilizi « il nostro debito sarebbe sceso di un punto percentuale all’anno, esattamente come richiesto dagli altri Paesi europei». Sempre colpa di quelli di prima, un’altra tattica più o meno di tutti i governi. Non che voglia difendere il Superbonus così come venne congeniato, perché di fatto è un altro vantaggio a proprietari di immobili di valore e quindi dei più abbienti e ha inciso poco sul patrimonio edilizio, ma una domanda è lecita: i calcoli dell’incidenza in positivo del Superbonus per entrate fiscali e sostegno alla crescita del PIL?

Alla fine dei conti oltre all’utilizzo dello strumento del deficit di bilancio aggiuntivo che considerando i tassi attuali per gli aumenti operati dalla Banca Centrale Europea sarà oneroso, uno degli introiti maggiori arriverà dalle . Certo ci sono anche le politiche di austerità che prevedono 2 miliardi di tagli della spesa dei ministeri. Non ci saranno i necessari  adeguamenti degli investimenti nella sanità pubblica che resta indietro rispetto a molti altri e importanti paesi europei (Francia e Germania sono a circa a circa il 10%, mentre noi nel 2023 siamo al 6,6% con una previsione al 6,1% nel 2026). ma la prospettiva per il 2026 è scendere al 6,1%). La medicina territoriale va bene ma servono gli ospedali che sono stati chiusi. Del resto il ministro Schillaci aveva chiesto almeno 4 miliardi in bilancio.
E poi, sempre a proposito di risorse, per evitare grane con il ministro Salvini bisognerà trovare soldi per il Ponte sullo Stretto.
Politica industriale? Nessuna traccia.

Per garantire la sostenibilità del debito e «coerentemente con una gestione più dinamica delle partecipazioni pubbliche, il nuovo scenario programmatico prevede proventi da dismissioni pari ad almeno l’1% del Pil» nel 2024-2026, ha detto il ministro. Si tratterà di «dismissione di partecipazioni societarie pubbliche, rispetto alle quali esistono impegni nei confronti della Commissione europea legati alla disciplina degli aiuti di Stato, oppure la cui quota di possesso del settore pubblico eccede quella necessaria a mantenere un’opportuna coerenza e unitarietà di indirizzo strategico». Il Monte dei Paschi di Siena, di cui lo Stato detiene il 64% per un valore di mercato di circa 1,7 miliardi, e  sembra essere il primo dei candidati, comunque non è dato sapere quali aziende saranno le aziende da privatizzare. E poi altre domane: ci saranno compratori al giusto prezzo e nei tempi previsti? Molti osservatori non credono all’obiettivo delle privatizzazioni all’1% del PIL a cominciare dal fatto che non esiste una lista. Quanta parte si vuole vendere o svendere di aziende partecipate come Autostrade per l’Italia  Enav, Enel, Eni, Ferrovie dello Stato, Leonardo, Poste, STMicroelectronics?

Stiamo parlando di oltre 20 miliardi di privatizzazioni e, come scrive Alessandro Volpi su Altreconomia, «è probabile che la privatizzazione riguardi società e beni assai pregiati. Altro che destra sociale, siamo davvero al thatcherismo fuori tempo massimo. Ma questa volta le privatizzazioni si faranno senza dirlo troppo perché la narrazione popolare del Governo Meloni non le gradirebbe: non era il governo del popolo-nazione? Come fa il governo del popolo-nazione a vendere ai grandi fondi? Dunque, meglio farlo in silenzio» [1].

Stop pignoramento
Tutela patrimoniale

Un governo di destra, se non hanno mai provato a farlo dal centro sinistra, potrebbe mai pensare ad una patrimoniale sulle grandi ricchezze, colpire le grandi rendite finanziarie, far crescere la progressività sui redditi più alti, tassare almeno alla media delle nazioni europee le successioni di grandi ricchezze, tassare successioni milionarie? Potrebbe andare in Europa a battersi per una significativa tassa sulle transazioni sui mercati valutari (Tobin Tax)?

Pasquale Esposito

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