di Antonio Foccillo
Nella ricorrenza dei 50 anni dalla sua morte vorrei ricordare la figura del socialista Salvadore Allende. È stato un personaggio molto controverso e divisivo. Infatti, fu il primo politico marxista a diventare presidente in un Paese dell’America Latina e si espose con le sue riforme, sapendo di rischiare molto, contro l’imperialismo americano, contro tutte le corporazioni e i potentati interni nel Cile.
Si batté a favore dei più poveri, dei lavoratori e dei sindacati realizzando importanti accordi per salvaguardare la loro possibilità di esprimersi e di essere tutelati. In tutti campi dove operò fu innovatore, progressista e riformista utopico per quei tempi in America latina e forse lo sarebbe anche oggi. Per le sue importanti riforme che stravolsero completamente il sistema cileno vigente in quel periodo fu attaccato dalla Chiesa, dal Congresso e dai Partiti di opposizione.
Ateo, massone e marxista, criticò aspramente il sistema capitalistico. Si può ricordare un discorso svolto all’Onu, da presidente, nel quale attaccò duramente le multinazionali per le loro politiche.
Già durante gli studi universitari si interessò di politica e addirittura per un periodo fu allontanato e inquisito per le sue posizioni politiche. Si laureò in Medicina e Chirurgia e questo lo aiutò molto nell’impostare e realizzare la riforma sanitaria da ministro e poi da presidente. Allende si adoperò nell’estensione del sistema sanitario pubblico anche alle frange più deboli della popolazione.
Questo suo impegno politico attirò rapidamente l’atteggiamento negativo da parte della politica statunitense. La politica americana già prima che fosse eletto presidente lo attenzionò, perché le sue idee socialiste, facevano temere che se fosse diventato un importante politico, il Cile sarebbe potuto essere una nazione comunista, sotto l’influenza dell’Unione Sovietica.
Eletto, per la prima volta, nel 1937, deputato al Congresso. Fu nominato Ministro della Sanità e delle Politiche Sociali in un governo di coalizione tra radicali e socialisti. Fu senatore e Presidente del Senato.
Prima di diventare Presidente si impegnò in un gran numero di riforme sociali, comprese le leggi sulla sicurezza e protezione dei lavoratori nelle fabbriche; l’aumento delle pensioni per le vedove; leggi per la tutela della maternità e per la distribuzione di cibo e di programmi educativi gratuiti per bambini in età scolare.
Fu eletto, nel 1970, Presidente della Repubblica cilena, come candidato dal partito socialista democratico d’ispirazione marxista nella coalizione di governo Unidad Popular. E si impegno per trasformare la società cilena in una realtà socialista, elaborando un programma di governo battezzato “la vía chilena al socialismo”, che prevedeva una pacifica transizione del paese al socialismo, usando strumenti democratici e parlamentari. La posta in gioco era molto alta per quel tempo in un Paese dell’America Latina, nonostante che Egli aborrisse qualsiasi forma di violenza e avesse scelto la democrazia parlamentare.
Una volta insediato, infatti, il governo di Unidad Popular, Allende incominciò ad attuare la sua “piattaforma” di cambiamento socialista della società cilena. Il piano di riforme socialiste del suo governo prese il nome di «rivoluzione con empanadas e vino rosso», a sottolinearne quindi la natura essenzialmente pacifica. Le riforme furono moltissime e si esplicarono in tutti i campi della società, in tutti i settori e soprattutto rivolti a migliorare le condizioni dei poveri, giovani e donne.
Avviò, in particolare, un vastissimo programma di nazionalizzazione delle principali industrie private del Paese di tutti punti nevralgici della struttura socio-economica. Avviò una riforma agraria in favore delle classi maggiormente disagiate e fu creata una tassazione sulle plusvalenze. Annunciò anche una sospensione del pagamento del debito estero e, al tempo stesso, non volle onorare più i crediti che i potentati economici e vari governi esteri avevano concesso via via alle amministrazioni precedenti.
Tutto questo gli valse l’opposizione netta della media e dell’alta borghesia che fece aumentare la tensione politica nel paese, e provocò, seppur gradualmente, una gigantesca fuga di capitali, soprattutto esteri; un’inflazione galoppante e il blocco di molte attività economiche, che fecero nascere continue proteste sociali. Introdusse il divorzio e l’annullamento delle sovvenzioni statali alle scuole private, che irritarono profondamente i vertici della Chiesa cattolica che si aggiunse alle altre opposizioni.
Vari furono gli interventi tesi a migliorare le condizioni dei più indigenti, dei poveri ed emarginati: introdusse la garanzia di mezzo litro di latte giornaliero per ogni bambino e neonato cileno; ingenti incentivi all’alfabetizzazione; l’aumento programmatico dei salari, l’applicazione di diverse tutele sociali e l’introduzione di un salario minimo garantito per i lavoratori di ogni categoria e fascia d’età; il prezzo fisso del pane; la riduzione del prezzo degli affitti; la distribuzione gratuita di cibo ai cittadini più indigenti e l’aumento delle pensioni minime. Inoltre, nelle regioni meridionali del Cile inviò 55.000 volontari, per fornire istruzione e cure mediche di base alla fascia più povera della popolazione.
Riprese un rapporto molto intenso con i sindacati e istituì una commissione centrale, composta da rappresentanti del governo, dei sindacati e dei datori di lavoro, per sovrintendere ad un piano di pagamento della forza lavoro nazionale e, inoltre, fu firmato con le maggiori organizzazioni sindacali nazionali un protocollo d’intesa concedente i diritti di rappresentanza degli stessi lavoratori nel Consiglio di Finanziamento del Ministero di pianificazione sociale. Convinto, inoltre, della necessità che i lavoratori partecipassero nelle imprese nazionalizzate, stabilì che si svolgessero assemblee operaie per eleggere rappresentanti dei lavoratori per circa la metà dei componenti nei consigli d’amministrazione d’ogni singola azienda.
Promosse un sistema di monitoraggio e controllo dei prezzi. Importanti furono poi gli interventi nell’agricoltura, che permisero ai contadini, braccianti e coltivatori di liberarsi dal giogo di latifondisti e grandi proprietari terrieri, i cui possedimenti furono espropriati. La sua amministrazione s’impegnò, anche, nella costruzione di ospedali e strutture sanitarie nelle zone più povere del Paese, incoraggiando i giovani neolaureati in medicina ad esercitare la professione in queste realtà.
Gli ambiziosi progetti, sebbene incompleti, comportarono un netto aumento dei salari e degli assegni famigliari che permisero ai più poveri di nutrirsi o di vestirsi meglio e di godere di un maggiore accesso ai servizi di sicurezza sociale.
Concesse il voto ai giovani di 18 anni e agli analfabeti e con questa partecipazione di massa al processo decisionale vi fu un capovolgimento graduale delle gerarchie del Paese, in linea con i principi dell’egualitarismo socialista. Promosse il sistema educativo verso i cileni più poveri, ampliando esponenzialmente le iscrizioni attraverso sussidi governativi. La “democratizzazione” della formazione universitaria venne così ottenuta, rendendo il sistema praticamente gratuito.
Molto si spese per migliorare le condizioni sociali ed economiche delle donne. Istituì la Segreteria delle Donne, che si occupò di assistenza prenatale, servizi di lavanderia, programmi alimentari pubblici, centri diurni e cura della salute delle donne. La durata del congedo di maternità venne inoltre estesa da 6 a 12 settimane.
Con tutte queste riforme sul piano sociale, rivolte verso l’istruzione, le politiche abitative e sanitarie, crebbe fortemente la spesa pubblica e fu bilanciata da un grande sforzo per ridistribuire la ricchezza a vantaggio dei cileni più poveri
Il suo governo avviò anche un intenso programma di lavori pubblici, tra i quali la metropolitana di Santiago e la costruzione di numerose case popolari e riqualificazioni dei servizi igienico-sanitari.
Malgrado i forti boicottaggi operati fin da subito dai latifondisti, dalla Chiesa Cattolica e dall’estrema destra incarnata dal Partito Nazionale, coadiuvato dalla Democrazia Cristiana, i risultati che Allende si era prefissato vennero raggiunti in breve tempo: già dopo un anno il Cile poteva vantare una forte crescita industriale, l’aumento del PIL, ed il declino dell’inflazione e della disoccupazione. In aggiunta a tutto ciò Allende rialzò anche più volte i salari.
Egli sapeva benissimo che le sue trasformazioni fossero troppo stravolgenti nei confronti dell’establishment e quindi era convinto che, per superare questo difficile camino, fosse possibile solo con il popolo unito. Infatti, in varie occasioni sostenne la necessità che tutti: “insieme apriremo la strada al socialismo”.
Allende annunciò il ripristino delle relazioni diplomatiche con Cuba, nonostante in una dichiarazione dell’Organizzazione degli Stati Americani, cui il Cile aderiva, si fosse stabilito che nessuna nazione occidentale avrebbe concesso aperture verso quello Stato. Strinse un rapporto anche col presidente argentino Héctor José Cámpora, peronista di sinistra, e incontrò nel 1973 anche Juan Domingo Perón, leader da sempre malvisto dagli Stati Uniti.
Per questo e non solo per le riforme durante la sua presidenza Allende non ebbe facili rapporti anche con il Congresso cileno, in cui era forte l’influenza del Partito Democratico Cristiano. I democristiani ritenevano che Allende stesse attentando alla democrazia cilena, asserendo come quest’ultimo stesse cercando di trascinare il Cile verso un regime dittatoriale sulla falsariga del governo cubano di Castro, e, di conseguenza, cercavano strenuamente di moderare molte delle sue maggiori riforme costituzionali. Alcuni membri del Congresso arrivarono addirittura a invocare l’intervento diretto delle forze armate, tradizionalmente neutrali, per “proteggere la costituzione”.
La politica di Allende, sempre più sbilanciata a sinistra verso il socialismo e gli stretti rapporti con Cuba, non potevano passare inosservati e trovarono l’opposizione di Washington che iniziò già da quando scese nella tenzone politica, tanto è vero che l’amministrazione Nixon, in particolare, fu la più strenua oppositrice di Allende, per il quale nutriva un’ostilità che Nixon ammetteva apertamente.
Il Parlamento tentò anche di sfiduciare Allende, approfittando del suo calo di consenso anche in Unidad popular, senza però ottenere la maggioranza. La Camera, addirittura nel 1973 dichiarò illegale il governo di Allende e questo scatenò la reazione delle forze armate. Egli propose un plebiscito per conoscere la volontà del popolo. Ma la risposta fu un tentativo di golpe prima di quello di Pinochet.
Nel settembre del 1973, i continui scioperi, l’altissimo tasso di inflazione e la mancanza di materie prime a causa del boicottaggio avevano gettato il Paese nel caos. Le forze ostili ad Allende, che avevano manovrato per condurre il Paese sull’orlo di una guerra civile, che giustificasse un colpo di Stato, si preparavano ad agire.
Infatti, la sua Presidenza si concluse tragicamente l’11 settembre del 1973, tramite un golpe dell’esercito, segretamente appoggiato dalla CIA e dall’amministrazione americana.
Allende rifiutò fino all’ultimo di usare la forza e la legge marziale, che i poteri presidenziali permettevano, per evitare una guerra civile e per non tradire i propri principi, anche se una legislazione di emergenza avrebbe potuto salvare il governo.
Nel suo ultimo discorso alla radio affermò: «È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo, apparterrà ai lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore. […]. E concluse: «Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento[1]».
A leggere adesso il suo impegno fa capire che uomo grandissimo che fu e che coraggio ebbe, pur sapendo a quello che andava incontro in un Paese come il Cile, si sacrificò per rendere libero quel Paese e fece di tutto per affermare il diritto dei popoli all’autodeterminazione e all’autogoverno. Il suo esempio eroico ha lasciato una chiave di lettura trasparente ed inequivocabile dei valori, soprattutto etici, oltre che politico sociali, che dovranno ispirare e guidare il non facile cammino che il Cile e l’America Latina dovranno fare per occupare un posto degno nella scacchiera mondiale dello sviluppo e liberarsi definitivamente della cappa che li ha oppressi. Molto di quello che lui ha promosso durante la sua presidenza, potrebbe essere un buon programma, oggi, per una forza di sinistra anche in Europa.
A seguito del golpe il generale Augusto Pinochet instaurò una brutale dittatura retta da una giunta militare da lui presieduta che causarono tantissimi morti e tantissimi dispersi. Immediatamente cominciò a disfare tutto il lavoro sociale e politico di Allende, introducendo nel paese un vero e proprio “capitalismo da legge della giungla” e delegò il programma economico ai giovani “tecnici” cileni formatisi all’Università di Chicago, noti ai più come i Chicago Boys, fortemente influenzati dalle dottrine neoliberiste dell’economista Milton Friedman che imposero privatizzazioni, taglio della spesa pubblica e legislazione anti-sindacale. Per le classi cilene più deboli fu l’inizio della fine. Queste politiche neoliberiste poi si propagandarono anche in Europa, durante la crisi economica del 2009, minando certezze, tutele e diritti e creando povertà, disoccupazione ed emarginazione.
In quegli anni ci sono stati moltissimi martiri che hanno lottato per i loro principi ideali, nello spirito solidale e nella convinzione che i valori non possano essere cancellati impunemente, che l’inverno non può scacciare la primavera, che nulla e nessuno può fermare il ciclo vitale della storia. Purtroppo l’oscurantismo totalitario ha minacciato il tessuto più intimo e più vero della natura stessa dell’umanità. Ma l’ideale di libertà del popolo cileno e latino americano, si è imposto nonostante le lacerazioni, le amarezze, le umiliazioni subite.
Ho avuto il piacere e l’onore di accompagnare, nel 1991, la figlia Isabel Allende in visita in Italia, e in particolare da Bettino Craxi. Isabel ci fece riflettere sul presente e sul futuro del Cile. Ci fece ricordare quel “buco nero” della storia, che con la sua demenziale carica di atrocità e barbarie, offese la coscienza del mondo civile. Ma contemporaneamente ci fece presente che, finalmente, quasi a conferma che nessuno può fermare il corso della storia, fosse in corso un processo di trasformazione istituzionale nel Cile che lo ha portato alla democrazia che con tanta tenacia, sacrificio e coraggio si è guadagnato.
Ci convinse che l’arrivo di un governo democratico in Cile non significasse per forza la fine dei rischi di ricadute autoritarie, né la guarigione miracolosa delle piaghe della povertà, dell’emarginazione e del sottosviluppo, né istantanea rimarginazione delle profonde ferite aperte dalle violazioni dei diritti umani. E ci spinse anche meditare sulle enormi difficoltà che giornalmente il processo di transizione stava affrontando. Una transizione, che limitata com’è da quella vera gabbia costituzionale ereditata dal regime militare, ha lottato per dare un minimo di benessere e giustizia ad un popolo duramente colpito da un pesante debito sociale.
Isabel ci aiutò a capire anche meglio il processo di Concertazione, all’interno del quale diverse tendenze politiche si strinsero intorno valori sociali, fondamentali, alla democrazia e alla libertà di riconquistare, per far sì che quella società ferita potesse guarire e riacquistare la forza e l’allegria di percorrere, sotto il sole di una nuova speranza, quelle “larghe strade che portano al futuro” e nelle quali tanto credeva Salvador Allende e che con tanta convinzione e conseguenza difese fino alla morte. Purtroppo anche oggi con l’elezione del giovane Presidente Gabriele Boric, nonostante che siano passati i cinquant’anni dalla morte di Allende, i forti contrasti non sono superati.
Nella manifestazione di pochi mesi fa per commemorare il sacrificio di Allende, il Presidente Boric ha presentato il documento “Democrazia oggi e sempre”, firmato dai quattro ex presidenti cileni viventi (Eduardo Frei, Ricardo Lagos, Michelle Bachelet e Sebastian Piñera) proprio per ribadire l’unità del Paese, ma questo non ha evitato da parte di manifestanti incappucciati di esercitare violenze. Tutto ciò dimostra che il cammino per affermare democrazia libertà e uguaglianza in Cile ancora non è stato percorso da tutti ed ha bisogno di tanto impegno e lavoro.
[1] Estratto dall’ultimo discorso radiofonico di Salvador Allende, poche ore prima della sua morte, l’11 settembre 1973