Continuiamo ad esaminare i possibili miglioramenti delle norme riguardanti giustizia e processo tributario all’interno del complessivo progetto di riforma fiscale.
Con l’intento di completare in maniera totalitaria una reale ed effettiva revisione del sistema tributario, da attuare in relazione alle materie, nei termini e secondo i princìpi e criteri direttivi del sistema, si pone la necessità di intervenire ulteriormente sul quadro regolatorio in materia processual-tributaria per superare le criticità dello stesso, anche secondo quanto segnalato dagli operatori del settore.
A tale scopo, si segnalano ulteriori modifiche legislative da inserire nella legge delega in commento.
La magistratura tributaria dovrebbe essere gestita e organizzata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più dal MEF
Nonostante il rivoluzionario intervento legislativo e le revisioni previste dal citato DDL, la nuova giustizia tributaria continua a dipendere dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in violazione del principio di indipendenza, imparzialità (e apparenza), con inevitabili riflessi di incostituzionalità.
Infatti, la CGT di primo grado Venezia, Sez. 1, con l’ordinanza n. 408/2022 del 31/10/2022, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, per violazione degli articoli 101, 104, 105 e 110 della Costituzione, perché in netto contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici.
Inoltre, con l’ordinanza n. 660 dell’11 aprile 2023, la CGT di secondo grado del Lazio ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia UE, in considerazione del fatto che l’indipendenza e la terzietà del giudice, in questo modo, risultano evidentemente compromesse in ragione del legame organico con il MEF (parte in causa del giudizio), ulteriormente rafforzato dalla riforma realizzata in attuazione del PNRR (Legge n. 130/2022).
In tal senso, occorre ribadire che, le Agenzie fiscali (Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, l’Agenzia delle entrate-Riscossione) svolgono funzioni tecnico-operative al servizio del Ministero per fornire informazioni e assistenza ai contribuenti. Godono di piena autonomia sia in materia di bilancio che in materia di organizzazione della propria struttura. Il loro rapporto con il MEF è stabilito in apposite convenzioni che ne regolano le modalità d’intervento (servizi, obiettivi e risorse).
Già nel giugno del 2012, il Presidente dell’Associazione Magistrati Tributari, in una audizione alla Camera dei Deputati, rilevava che:
“Purtroppo, ancora indissolubile, per una piena affermazione del principio di indipendenza delle Commissioni Tributarie, è il nodo costituito dalla permanente attribuzione dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia Tributaria al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che dispone del personale amministrativo e delle risorse economiche occorrenti”.
In altri termini, per realizzare la vera autonomia e indipendenza, la quinta magistratura tributaria dovrebbe essere gestita e organizzata più opportunamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, come peraltro previsto dai vari disegni di legge e sempre dalla Scrivente sostenuto e sollecitato (per esempio, disegno di legge n. 1243 del 18 aprile 2019 presentato al Senato).
Nuova conciliazione proposta dalla Corte di Giustizia Tributaria
Sarebbe auspicabile anche un ulteriore intervento riformatore dell’istituto della mediazione di cui all’art. 17 bis del Decreto legislativo n. 546/92 e della nuova conciliazione proposta dalla Corte di Giustizia Tributaria.
Ed invero, seppur il legislatore, con le modifiche introdotte con la Legge n. 130/2002, sia intervenuto prevedendo che i giudici tributari possano formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione; tuttavia, tale istituto deflattivo continua ad essere affidato in prima battuta ai funzionari dell’Agenzia delle entrate, anziché ai giudici tributari.
In tal senso, occorre chiarie che, l’art. 4, comma 1, lett. g), L. n. 130/2022, ha inserito l’art. 48-bis.1 al D.lgs 546/92, rubricato “Conciliazione proposta dalla corte di giustizia tributaria”, a norma del quale:
«1. Per le controversie soggette a reclamo ai sensi dell’articolo 17-bis la corte di giustizia tributaria, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.
2. La proposta può essere formulata in udienza o fuori udienza. Se è formulata fuori udienza, è comunicata alle parti. Se è formulata in udienza, è comunicata alle parti non comparse.
3. La causa può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. Ove l’accordo non si perfezioni, si procede nella stessa udienza alla trattazione della causa.
4. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale, nel quale sono indicati le somme dovute nonché i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
5. Il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
6. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.»
Più nel dettaglio, la predetta norma prevede che, per le controversie soggette a reclamo ai sensi dell’art. 17-bis, la Corte di giustizia tributaria possa proporre alle parti una conciliazione, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione (comma 1).
L’istituto non si applica alle controversie di valore indeterminabile (ad eccezione di quelle in materia catastale, di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo) e alle controversie di cui all’art. 47-bis, relative al recupero degli aiuti di Stato.
Tanto chiarito, occorre evidenziare che il nuovo canale deflattivo della “Conciliazione proposta dalla corte di giustizia tributaria” introdotto con l’art. 48-bis.1, si aggiunge alla fase di reclamo-mediazione obbligatoria di cui all’art. 17-bis, D.lgs. 546/1992.
Giova rammentare che il richiamato art. 17 D.lgs. 546/1992 stabilisce che, nell’ambito delle controversie il cui valore non sia superiore a 50.000 euro, il ricorso produce gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con la rideterminazione dell’ammontare della pretesa accertata.
La descritta procedura amministrativa, volta alla composizione della lite, costituisce condizione di procedibilità del ricorso.
In tal caso, il ricorso è improcedibile per 90 giorni dalla data di notificazione alla controparte: un termine questo funzionale a riservare una finestra temporale entro la quale la procedura di mediazione deve essere conclusa.
È espressamente prevista l’applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali (dal 1 al 31 agosto).
Peraltro, il legislatore è intervenuto modificando anche l’istituto della mediazione, così al fine di incoraggiare un’adeguata istruttoria dei reclami pervenuti e una ponderata valutazione delle proposte di mediazione; la novella legislativa di cui all’art. 4, comma 1, ha aggiunto all’articolo 17-bis, il comma 9-bis, a norma del quale, nelle controversie ex art. 17-bis cit., in caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio.
Tanto chiarito, in relazione alle controversie fino a 50.000 euro (ad esclusione delle controversie di valore indeterminabile – salvo quelle in materia catastale – nonché alle controversie relative al recupero degli aiuti di Stato), il nuovo art. 48-bis.1 cit. prevede che, oltre alla fase obbligatoria di reclamo-mediazione di cui all’art. 17-bis cit., la Corte di giustizia tributaria possa formulare una proposta conciliativa, così aprendo, di fatto, un ulteriore canale deflattivo.
Occorre precisare che la locuzione «ove possibile» delimita la portata applicativa dell’istituto, in quanto è la stessa disposizione che stabilisce che il giudice dovrà aver riguardo, nell’assumere tale provvedimento:
- all’oggetto del giudizio;
- e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.
L’istituto in esame sembra ricalcare il modello della proposta di conciliazione del giudice ex art. 185-bis c.p.c. a norma del quale:
«Il giudice, alla prima udienza, ovvero fino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti, ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice».
Tale strumento processual-civilistico, introdotto con D.L. 21 giugno 2013, n. 69, poi convertito, con rilevanti modificazioni, in L. 9 agosto 2013, n. 98, consente al giudice civile di formulare e rivolgere formalmente alle parti una propria proposta conciliativa della lite, a partire dalla prima udienza e fin quando non sia terminata la fase istruttoria, nell’ottica della deflazione immediata del processo.
In ordine alle modalità operative e procedurali della proposta conciliativa attivata dalla Corte di giustizia tributaria, l’art. 48-bis.1 del D.lgs. 546/1992 così chiarisce:
- la proposta, ove possibile, può essere formulata dalla Corte di giustizia tributaria sia in udienza (in tal caso la proposta deve essere comunicata alle parti non comparse) che fuori udienza (in tal caso la proposta deve essere comunicata alle parti), avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione (commi 1e 2);
- la causa può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. Tuttavia, laddove l’accordo non si perfezioni, si procede nella stessa udienza alla trattazione della causa (comma 3);
- la conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale che costituisce titolo per la riscossione (comma 4);
- intervenuta la conciliazione, il giudice dichiara estinto il giudizio per cessazione della materia del contender (comma 5).
La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.
Inoltre, alla luce del nuovo art. 48-bis. 1, si è reso necessario “adattare” il sistema operativo relativo alla definizione e al pagamento delle somme dovute.
A tal fine, l’art. 4, comma 1, lett. h) della L. 130/2022 integra l’art. 48-ter del D.lgs. n. 546 del 1992, tenendo conto dell’introduzione, nel processo tributario, della conciliazione su proposta del giudice.
In conclusione, con l’introduzione della forma conciliativa de qua, è stato attuato un doppio canale verso la mediazione stragiudiziale (preventiva e successiva, rispetto alla pendenza del processo), con una variabile conciliativa endoprocessuale che sembra mostrare interessanti potenzialità se utilizzata metodicamente al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma e ancor più se connessa – ove ritenuto opportuno – a una fase mediativa stragiudiziale.
Tuttavia, nonostante le pregevoli finalità deflattive dell’istituto del reclamo-mediazione, la novella legislativa qui in commento, continua, di fatto, ad affidare ai funzionari dell’Agenzia delle entrate il compito di delimitare i contorni della fase preliminare della proposta deflattiva, che solo in un secondo momento e “ove possibile”, consente ai giudici tributari di formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto, però, obbligatoriamente riguardo all’oggetto del giudizio così come preliminarmente delimitato e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.
Va da sé, che sarebbe opportuno, invece, consentire ai nuovi giudici tributari, di poter gestire tutte le fasi della mediazione senza limitazioni e condizionamenti, per mettere le parti processuali su un piano di perfetta parità e uguaglianza.
Previsione dell’introduzione della class action anche nel processo tributario
Tra gli ulteriori interventi riformatori auspicabili vi sarebbe anche la necessità di consentire la previsione di una vera e propria class action anche nel processo tributario, per tutte le controversie che involgono la medesima quaestio iuris e un numero elevato di parti in causa, prevedendo il pagamento di un unico contributo unificato tributario di € 30,00 quando le parti sottopongono al giudice tributario un’unica questione di diritto o di merito.
Com’è noto, la class action è un’azione legale collettiva condotta da uno (o più) contribuenti nei confronti del medesimo soggetto per tutelare i diritti vantati da più soggetti.
Lo scopo di tale istituto è quello di giungere a una soluzione comune a più persone, di fatto o di diritto, che produca effetti “ultra partes” per tutti i componenti presenti e futuri della classe o del gruppo.
I vantaggi delle azioni collettive sono evidenti se si tiene conto dei tempi processuali, dei costi della giustizia, della garanzia di certezza del diritto e dell’efficacia ed equità del risultato.
Tanto chiarito, posto che nel processo tributario, non si rinviene una specifica disposizione normativa che contempla e disciplina tale istituto, seppur numerose siano le ipotesi di controversie che involgono la medesima quaestio iuris e un numero elevato di parti in causa (a titolo esemplificativo: i consorzi di bonifica o il ricalcolo degli estimi catastali), sarebbe certamente auspicabile un intervento normativo finalizzato a disciplinare tale istituto anche nelle controversie tributarie.
Per completezza, giova, infatti, mettere in evidenza, che ad oggi, per le controversie di natura tributaria è possibile ricorrere solo all’istituto della riunione di cui all’art. 29 del D.lgs 546/92, facendo applicazione, in quanto compatibili, degli artt. 103 e 104 cpc in materia di litisconsorzio.
Necessità di prevedere una specifica normativa processuale in tema di litisconsorzio
Tra gli ulteriori interventi riformatori auspicabili si annovera anche la necessità di prevedere una specifica normativa processuale in tema di litisconsorzio.
In tal senso occorre precisare che l’istituto del litisconsorzio (o comunanza della lite) svolge la funzione di garanzia dell’inviolabile diritto alla difesa e del contraddittorio costituzionalmente previsti e si verifica quando il processo presenta una pluralità di parti, sia in qualità di attori-ricorrenti, che in qualità di convenuti-resistenti.
Nell’ambito di questo istituto si distinguono:
- il litisconsorzio attivo, che si ha quando in un processo vi sono più attori contro un solo convenuto;
- il litisconsorzio passivo, che si ha quando in un processo vi è un solo attore contro più convenuti;
- e il litisconsorzio misto, che si ha quando in un processo vi sono più attori-ricorrenti contro più convenuti-resistenti (Circ. Min. 23 aprile 1996 n. 98/E).
Il litisconsorzio, a seconda che la presenza di due o più parti venga imposta dalla legge, può essere, inoltre:
- necessario, nelle ipotesi delle c.d. cause inscindibili (processuale o sostanziale);
- facoltativo, nelle ipotesi delle c.d. cause scindibili.
Più nel dettaglio, nel primo caso (litisconsorzio necessario) il processo dovrà coinvolgere tutti i soggetti interessati a pena di nullità dell’intero giudizio; nel secondo caso (litisconsorzio facoltativo), invece, stante la connessione dell’oggetto o del titolo dal quale dipendono, più parti potranno agire o essere convenute nello stesso processo.
In materia processual-civilistica il litisconsorzio necessario è disciplinato dall’art. 102 del codice procedura civile, mentre il litisconsorzio facoltativo trova espressa previsione nell’art. 103 del codice procedura civile.
Per ciò che attiene il processo tributario, il legislatore, attraverso l’articolo 14 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha provveduto a disciplinare concretamente al comma 1 il litisconsorzio necessario, e al co. 3 il litisconsorzio facoltativo, tramite gli istituti dell’intervento e della chiamata in causa.
Più specificamente, l’articolo 14 citato si suddivide in sei commi che illustrano le condizioni processuali che comportano la formazione di un processo litisconsortile necessario o facoltativo, originario o successivo, volontario o coatto.
L’articolo 14, rubricato “Litisconsorzio ed intervento”, così recita:
- «Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi.
- Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza.
- Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso.
- Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili.
- I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente.
- Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza».
In buona sostanza, in determinate ipotesi, il processo tributario si può svolgere con una pluralità di parti e, dunque, in forma litisconsortile facoltativa come nel caso in cui l’atto impositivo venga notificato a due o più soggetti condebitori e responsabili solidali o nel caso, ad esempio, in cui il ricorso avverso la cartella di pagamento riguardi sia vizi propri dell’atto eccepibili nei confronti dell’Agente delle Entrate-Riscossione, che vizi di merito relativi all’iscrizione del ruolo eccepibili nei confronti dell’Ente impositore.
In altri casi, invece, a pena di nullità, il processo tributario deve essere necessariamente svolto con la partecipazione di tutte le parti attraverso il cd. «litisconsorzio necessario».
In siffatta ipotesi, l’art. 14 D.Lgs n. 546/92, prevede che se il ricorso non è stato proposto da e nei confronti di tutti i soggetti, legati “inscindibilmente” a tale atto, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio attraverso la chiamata in causa di tutti i sociin quanto il concetto di “inscindibilità” è connesso al concetto di impossibilità logico-giuridica di pervenire a una decisione del giudizio senza la partecipazione congiunta di tutti i soggetti interessati.
Per questo motivo, quando l’oggetto del ricorso tributario riguarda più soggetti necessariamente collegati, è richiesta la partecipazione obbligatoria di tutte le parti al medesimo processo, in quanto la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi, e tanto al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che, nel caso di società di persone o di associazioni professionali, per i tributi imputati per trasparenza si configura sempre un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra soci e società e/o associazione (Cass. SS.UU. 04 giugno 2008 n. 14815; Cass. 09 ottobre 2013, n. 22933; Cass. 14 maggio 2014 n. 10495).
Più nel dettaglio, la Suprema Corte, con sentenza a SS.UU. del 4 giugno 2008 n. 14815, ha definito gli ambiti di applicazione dell’istituto del litisconsorzio necessario in materia tributaria ex art. 14 D.lgs n. 546/1992 con specifico riferimento alle controversie aventi a oggetto i redditi di impresa delle società di persone attribuiti per “trasparenza” a singoli soci.
La Corte di Cassazione, infatti, ha più volte osservato che l’unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili e a prescindere dalla percezione degli stessi (art. 5 DPR n. 917/86), comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti (società e tutti i soci) ai quali il suddetto accertamento si riferisce.
Ed invero, qualora sia proposto ricorso tributario anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, la controversia, salvo il caso in cui i soci prospettino questioni personali, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato.
Per il che, il giudice investito dal ricorso proposto da uno (o da alcuni) soltanto dei soggetti interessati deve procedere all’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/92, pena la nullità assoluta del giudizio celebratosi senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (cfr. Cass. SS.UU. 14815/08, Cass. 2907/10; Cass. sent. n. 23096/2012; Cass. sent. n. 22438/2016, ordinanze 1634/2023 e 5007/2023).
Deriva da quanto precede, pertanto:
- da un lato, che il ricorso proposto da uno soltanto dei soggetti interessati, destinatario di un atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo e il giudice adito in primo grado deve ordinare l’integrazione del contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente e se, questi sono diversi innanzi al giudice preventivamente adito);
- dall’altro, che il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo per violazione del principio del contraddittorio e tale nullità è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio.
Conseguentemente, la competenza territoriale viene così determinata da chi deposita per primo l’atto, laddove invece sarebbe di gran lunga più corretto che la individuazione della sede giudiziaria competente dipendesse dalla sede della società.
Ne consegue, dunque, che tra gli ulteriori interventi riformatori auspicabili vi è anche la necessità di prevedere una specifica normativa processuale sulla competenza territoriale proprio nelle ipotesi di litisconsorzio necessario, a tale scopo individuando la sede della società quale elemento determinante ai fini della sede giudiziaria ove dare avvio alla controversia.
Ma vi è di più.
Quel che emerge dallo studio delle sentenze e dei contributi dottrinali che sono stati pubblicati successivamente all’emanazione delle pronunce esaminate, è che l’effettiva operatività del litisconsorzio necessario in un processo come quello tributario è ancora tutta da chiarire, soprattutto in ipotesi di società di capitali, specie se caratterizzate da ristretta base azionaria (ove spesso si verifica la medesima situazione che connota la società di persone, ossia l’unicità dei fatti in contestazione sia nel processo relativo alla società, sia in quello relativo ai soci).
Da ultimo, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 9 gennaio 2023, n. 1634, ha ribadito che:
«Questa Corte, invece, ha già escluso, in ipotesi diverse da quella dell’imputazione dei redditi per trasparenza, la sussistenza di un litisconsorzio tra società di persone e soci.
In particolare, in caso di controversia avente ad oggetto un atto di recupero di credito d’imposta, anche ai fini Irap, nei confronti di una società di persone, si è chiarito che non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto l’avviso di accertamento non incide immediatamente sull’imponibile (recuperandone quote) e solo mediatamente sull’imposta, sicché, avendo ad oggetto un’imposizione a carico di una società di persone, si riflette automaticamente, per trasparenza sull’imposizione irpef a carico dei soci; l’atto di recupero del credito d’imposta, infatti, incidendo direttamente sull’imposta, come – in funzione dell’imponibile – già specificamente definita nei confronti della società e su di essa esclusivamente gravante, non determina alcun riflesso sull’imposta definita a carico dei soci (Cass. 12/01/2018, n. 610, Cass. 06/08/2014, n. 17648)».
In altri termini, mentre in tema di società di persone risulta esserci ormai un orientamento fortemente consolidato, il problema principale, invece, permane in tema di solidarietà tributaria in ipotesi di società di capitali.
Sarà, quindi, compito degli operatori del diritto tributario e dei giudici di legittimità valutare la ratio dell’istituto e delinearne dei confini più netti.
Impugnazione dell’autotutela senza limitazioni
Risulterebbe necessario consentire, altresì, al contribuente la possibilità di impugnare il provvedimento di rigetto dell’autotutela, sia espresso che tacito, contrariamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che, invece, pone grosse limitazioni.
V’è, infatti, da premettere che costituisce consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione l’insegnamento secondo cui:
“nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente” (Sez. 5, n. 21146 del 24/08/2018).
Tanto equivale ad affermare che:
“il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Cass. Sez. 5, n. 7616 del 28/03/2018 e Cass. Sez. Trib. n. 8385/2023).
Ne consegue che, in un contesto caratterizzato da un’epocale “riforma processual-tributaria”, sarebbe opportuno prevedere, altresì, un rafforzamento del principio di legalità del prelievo tributario e del principio di imparzialità della pubblica amministrazione, anche attraverso il riconoscimento della possibilità di consentire al contribuente di impugnare il provvedimento di rigetto dell’autotutela, sia espresso che tacito, anche con rifermento alla fondatezza della pretesa tributaria.
A cura di Avv. Maurizio Villani
Sabato 24 giugno 2023